La guida di Daniele , Leggende Bormine

Daniele
La guida di Daniele , Leggende Bormine

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Introduzione Uno dei nuclei importanti delle leggende valtellinesi è costituito dalle leggende che hanno come tematica quella dei poteri e degli avvenimenti meravigliosi. In questo gruppo sono comprese le leggende relative al diavolo, alle sue creazioni ed ai suoi seguaci quali streghe, spiriti ritornanti, magie, sortilegi, patti col diavolo, maledizioni e tesori incantati. Diavoli Talvolta la topografia dell'orrido è collegata ad una densa mitologia che vede il diavolo come protagonista di imprese eccedenti l'umana misura: un picco, un masso od un vallone recano spesso impronte diaboliche. A S.Antonio Morignone, ad esempio, sono impressi in una pietra i quattro zoccoli infuocati del demonio che seguiva il pio pastore Tirindré. Quando lo raggiunse, il diavolo cercò di afferrare l'uomo, ma sbagliò mira ed affondò con gli artigli nella roccia. La morale di tale leggenda è che il Signore, dal cielo, ha protetto il pastore ed il suo gregge. Un'altra versione vuole che il diavolo, invidioso della bontà del pastore Tirindré, cercò di uccidere l'uomo: non appena questo si sarebbe abbassato a raccogliere un tesoro diabolico, un enorme macigno sarebbe stato scagliato su di lui. La Madonna, però, intervenne trattenendo Tirindré e tirandolo indietro di peso. Da qui derivò il nome del pastore e della contrada. Intanto, il macigno cadde nel punto prestabilito, presso la pianta dove erano apparse le monete maledette, e sulla sua superficie sono ancora visibili impronte di artigli infuocati. Tra l'uomo ed il diavolo quasi sempre è quest'ultimo che perde, mentre il primo ottiene quello che desidera e salva la propria anima.In Valfurva esiste una cavità detta "Buco del Diavolo". Il diavolo, secondo varie credenze leggendarie, ha costruito anche bastioni, castelli e ponti, come il Ponte del Diavolo situato tra Sondalo e Bormio (il ponte è scomparso nel 1987 a seguito della frana del Monte Coppetto). Il diavolo era, infatti, venuto a patti con i valligiani, i quali in cambio gli avrebbero dato l'anima del primo che avrebbe attraversato il ponte. I montanari si presero, però, gioco del demonio, facendo passare per primo un cane. Un'altra versione della stessa leggenda racconta che il Ponte del Diavolo fu costruito da S.Bartolomeo. Costui aveva pattuito con il demonio che, se entro la notte gli fosse riuscito di costruire il ponte, il diavolo avrebbe lasciato Bormio. Costui, alla vista del ponte costruito da S.Bartolomeo, quasi svenne e sconfitto dovette attraversare il ponte, lasciando Bormio. Al diavolo si attribuisce la nascita dell'empio Gervas, poi trasformatosi in Fra Giovanni di S.Martino. Il diavolo si trasforma come gli pare e non sempre ha le corna in testa ed i piedi di caprone, ma anche senza vederlo, lo si sente in quello che succede: sono mancati ragazzi, sono cresciute certe gobbe sul davanti ad alcune donne che non si sarebbe mai creduto e, ad una certa Agata, la polenta un giorno non voleva cuocere. Si seppe poi che la polenta era stata avvelenata dalle forze infernali. Nella Val di Fraele appariva la figura demoniaca dell'Angelo Nero o Ravan, un mostro dalle due facce, invulnerabile alle maledizioni umane e terribilmente crudele contro chi aveva accettato di servirlo e poi lo aveva disobbedito, come aveva fatto Talp. Il mostro era il capo di tutti i geni maligni ed aveva a servizio tutti i furfanti, mangiatori di anime, che andavano e venivano per il sentiero delle Scale e per la Val di Fraele. Gli abitanti della contrada Dossi Alti di Frontale sono i più litigiosi del mondo, perché in quel luogo S.Bartolomeo seppellì il diavolo bormino che era stata scacciato dall'inferno in quanto troppo litigioso. Il diavolo si manifesta spesso pure sotto forma di animali. Per esempio, sotto le spoglie di un verme apparso nel "cotaio" di compare Matteo, a Bormio, si nascondeva il diavolo. Al demonio viene attribuita anche la scomparsa del corpo di un morto valfurvese. Per scacciare il diavolo ed i suoi malefici bisogna ricorrere alla preghiera oppure alla benedizione di un prete. torna ad inizio pagina Streghe Tra i seguaci del demonio le streghe risultano essere le più fedeli ed invasate. La loro caratteristica è la doppia vita: di giorno spose e madri, di notte si trasformano in streghe. Bisogna sottolineare il fatto che non esiste una strega senza il sabba. Purtroppo la credenza negli stregoni e nelle streghe segnò pagine dolorose nella vita della Valtellina, che nel Seicento vide celebrare numerosi processi cruenti contro persone sospettate di essere streghe o stregoni. Per suscitare nell'opinione pubblica terribili sospetti d'avere rapporti con Belzebù bastava ben poco, molte volte era sufficiente essere parenti di una persona già indiziata o condannata, ma ancor più semplicemente bastava essere troppo bella o troppo brutta. A questo proposito, è utile ricordare che il termine strega deriva forse dal latino strix, strige, barbagianni: una donna, dunque, simile all'uccello notturno, almeno nel viso adunco e negli occhi grifagni, che aveva il demoniaco potere di svolazzare la notte e di emettere grida rauche e gorgoglianti. In realtà, le streghe potevano essere, invece, donne allucinate oppure isteriche o tutt'al più epilettiche. Appena si individuavano le persone sospette "per voce popolum", si catturavano e si ricercava sul loro corpo il bollo infernale che solitamente era una qualsiasi e semplice macchia sulla pelle. Si procedeva, quindi, a processare i malcapitati. I processi vedevano la tortura, inflitta il più delle volte in base al libero arbitrio dei giudici, come una prassi per estorcere sia la confessione dei reati commessi dall'accusato sia i nomi di eventuali correi. Chi confessava il falso, pur di sfuggire ai tormenti, era condannato inesorabilmente alla condanna a morte. Un ragazzo, invece, fu squartato, perché ritenuto in grado di trasformarsi in gatto miagolante. Le streghe anziane erano accusate di portare maleficio, da un luogo all'altro, volando a cavalcioni di una scopa o su veicoli più leggeri come spighe e fili di paglia e facendo strani cenni e ghirigori al prossimo sottostante su campi e prati. Le giovani erano accusate di andare a balli licenziosi a cavalcioni di diavoli vestiti da damerini e guidati da Belzebù in persona. Ballavano tutta la notte e, quando spuntava l'alba, le donne ricevevano dal torvo signore l'ordine di portare influssi perniciosi alle persone pie del luogo ed ai loro beni. Per esempio, Gervas della Valdisotto utilizzò per fare il malocchio i filtri schifosi di una stria in Val di Rezzo. Si credeva, altresì, che le streghe convenissero di notte in luoghi aspri e solitari e che di giorno, preso l'aspetto umano, compivano i loro diavoleschi malefizi, confezionando intrugli, filtri e veleni. Con questi ammaliavano le loro vittime, le gettavano in braccio al demonio o ne procuravano la morte con l'avvelenamento ed i morsi, oppure le condannavano a vedere colpite se stesse, i loro cari e le loro cose dalle più diverse ed orrende calamità. Si arriverà al parossismo di intentare causa agli insetti nocivi, in particolare ai bruchi che si supponeva si generassero dal connubio dei demoni con le streghe. Si citeranno gli insetti a comparire davanti ai giudici, verranno consigliati gli stessi a prendersi un difensore e si andrà ad appiccare citazioni ad ogni albero danneggiato! Tra i molti processi celebrati in Valtellina contro persone indiziate di stregoneria e di malefici sono da ricordare due in particolare per la ferocia con la quale vennero condotti. Vittime ne furono un certo Giovanni Bormetti di Semogo detto "Merendin" (1673) e Caterina Meld Rassigara (1674). Essi furono torturati sadicamente, furono estorte loro confessioni stregoniche e, infine, vennero condannati al rogo. L'esecuzione avvenne sulla strada per Premadio, oltre la Chiesa di S.Gallo, sulla sinistra dell'Adda, nel luogo ancora chiamato "Prà della Giustizia". Il fenomeno psicologico, che condusse alla credenza nelle streghe, non è difficile da concepire in quanto l'antipatia verso una persona poteva portare ad attribuirle la causa di tutto ciò che portava dolore, disgrazie, sofferenza e miseria. La ragione, pur non potendo spiegare questi eventi umanamente, voleva a tutti i costi trovarne una spiegazione ed un colpevole. La mente ingenua di genti semplici e chiuse, inoltre, poteva credere che fenomeni naturali quali valanghe, slavine e venti dipendessero dalla potenza di persone in grado di porre un essere soprannaturale alla mercé dei propri capricci. Per i teologi e gli inquisitori streghe e stregoni, in quanto invasati dal demonio, rinnegavano la fede. La credenza nell'esistenza di questi esseri intermedi tra l'uomo ed il demonio aveva, oltre a ciò, le sue radici nel residuo delle ataviche credenze mitologiche e si diffuse velocemente per suggestione naturale e senza nemmeno il freno del clero, divenendo un'allucinazione collettiva che infestò le classi sociali più diverse: nel popolo umile assunse la forma di una lugubre ed isterica fantasia, nelle classi colte prese le forme ambigue della magia e della scienza (magia nera, demonismo e astrologia). Numerose sono le leggende sorte intorno a streghe e stregoni e, grazie agli intensi contatti esistenti in Valtellina con le popolazioni latine e quelle germaniche, le streghe ed i diavoli della latinità si mescolarono agli gnomi ed agli dei nordici, dando così origine ad immagini favolose ed a tradizioni nuove. Alcune zone della Valtellina furono viste come luoghi di tregende e di raduni delle streghe e degli stregoni: i ruderi del castello e della chiesa di S.Pietro dominanti il borgo di Bormio, l'area della Reit, la zona tra Premadio e S.Colombano, la fessura delle streghe sotto S.Antonio di Pedenosso, Arnoga, la Motta d'Oga, la zona del Ponte del Diavolo a Valdisotto, le valli del Braulio e di Fraele, i monti sopra Cepina, Agneda, il monte Moncucco ed ancora, tra le altre località, le Steblina nella zona del monte Vago, la Val delle Mine, la Baita dell'Olta (a Livigno) e la Val Pola. Streghe e stregoni, per recarsi alle tregende (adunate, danze di streghe) volavano su di una scopa o erano aiutati da Belzebù, il quale apriva le danze. Le tregende finivano all'alba ed il diavolo impartiva a stregoni e streghe gli ordini per i malefizi. Le persone si ammalavano, gli animali erano colpiti da strane malattie o ancora si scoperchiavano le case. Nel 1715 nella terra di Bormio, visto che molti incendi scoppiavano nel giorno di martedì, si attribuì tale fatto ad una stregoneria. Le streghe potevano essere bellissime donne che tentavano licenziosamente come le maliarde che, durante la fienagione, scendevano dalle alti rupi per distrarre i falciatori o come la strega apparsa in Val Grosina al capraio Beppe che aveva dimenticato di recitare il rosario la prima domenica di agosto, giorno in cui si celebrava la festa della Madonna del Muschio protettrice dei pastori. Altrimenti esse erano fate-streghe. Quest'ultime portavano di solito all'infelicità il pastore che sposavano, in quanto le fate-streghe erano così delicate e sensibili che la minima scortesia faceva su di esse un'impressione profonda e poteva mutare il loro amore in indifferenza. Spesso le streghe erano donne brutte, vecchie e mentecatte che predicavano sventure. Il primo giorno dell'anno le streghe uscivano dalla valle e danzavano col piede forcuto nei prati circostanti, sciogliendo la neve. A Bormio una strega si rivelò tale solo dopo la morte, quando, sollevando il lenzuolo che la copriva, essa apparve nera come il carbone. Le streghe rapivano i bambini, a cui toccava una brutta sorte: per esempio la morte o il malocchio. Esse provocavano valanghe, temporali e tempeste oppure spingevano contro i paeselli di valle nere nubi cariche di grandine, servendosi di una lunga forca. Allora i montanari suonavano le campane benedette, allontanando così l'uragano e le colate di fango che avrebbero rovinato i campi. Tra Bormio e la Valcamonica, il paese Pezzo era minacciato dalle streghe ed il bosco era sacro, perché proteggeva il paese dalle valanghe che altrimenti sarebbero state causate dalle streghe. Un sabato sera, ad Isolaccia, un prete fu colto da un violento temporale, causato dalle streghe che danzavano sulle torri di Fraele. Le streghe cavalcavano anche magri caproni. Era un strega la donna che morì tra le braccia del montanaro Gervas della Valverde, lasciando all'uomo un libercolo contenente le formule magiche che lo aiutarono a diventare ricco. Streghe e stregoni, per attuare i loro misfatti, si trasformavano talvolta in gatti impertinenti o in altri animali. La volpe uccisa da Bepin de la Pipa a Livigno altri non era che uno stregone, così come il gatto apparso a degli uomini intenti a cuocere il pane in Valfurva era una strega. Pure la strega Valara morì carbonizzata sotto forma di gatto insolente. A Valfurva una strega fu creduta la causa della rottura di una zangola per il burro. Molte sono le leggende che raccontano di stregature ed incantesimi. A Bormio la Rosina fu stregata da una fattucchiera che le apparve nelle sembianze di un gatto. I livignaschi posero una croce in Val di Livigno per liberarsi da una stregatura: i loro piedi erano diventati più lunghi. Piantata la croce essi guarirono. Ghita di Bormio fu stregata da una moneta d'oro. A Bormio una mucca era stata stregata: si riuscì a liberarla, intrecciando alle sue corna una corona del rosario. In Valdidentro due mucche, passando in una località famosa per tregende, si fermarono perché stregate. Un bambino "innocent" fece un segno di croce sulle corna e le bestie ripresero il proprio cammino. La fede, comunque, vince qualsiasi malizia diabolica: croce, segno della croce e rosario tra i vari espedienti religiosi atti a combattere le forze maligne. Streghe e stregoni diventano, infatti, impotenti se si è pronti a scongiurare i loro malefizi invocando la divinità e, altresì, quando se ne avverte la presenza. torna ad inizio pagina Maledizioni Tra le leggende diaboliche rientrano anche quelle che raccontano di maledizioni. In Valtellina non sono molto numerose ed in Alta Valtellina probabilmente non ne esistono. torna ad inizio pagina Tesori nascosti Per un popolo vissuto da sempre in gravi ristrettezze la grande tentazione era quella del tesoro, sempre costituito con incanto. La credenza nei tesori nascosti chiamava a raccolta tutto il mondo demoniaco delle streghe e degli stregoni, dei maghi, dei konfinà e degli spiriti. Lo stesso demonio tentava direttamente i cristiani con tesori meravigliosi, come in Valdidentro. Qui in un profondo precipizio esisteva uno scrigno colmo d'oro, a cui faceva da guardia Belzebù sotto forma di caprone che si avventava contro chiunque osava avvicinarsi. A Bormio, invece, una volta il diavolo espose su di un lenzuolo un mucchio di foglie. Un uomo, passando, ne intascò una manata, ma poi sentendo in sé uno strano malessere, le buttò via. In fondo alla tasca rimase qualche foglia che si mutò in monete d'oro. A Bormio la leggenda dei tesori nascosti si intreccia con i ricordi di un patriziato ricco e potente. Difatti, nei sotterranei bui, che collegavano le casate più potenti, la tradizione vuole che le fiaccole si spegnessero in mano a coloro che volevano penetrarvi, mentre persone vecchissime narrano che sui lumi soffiavano gli spiriti invisibili, situati laggiù a custodia di tesori famosi. Nei sotterranei della casa Dea c'era una sala sfavillante, teatro la notte di balli licenziosi, e proprio qui esistevano dei tesori. Dai sotterranei della casa Alberti risaliva, invece, il fantasma della Dama Bianca, recando in mano pergamene su cui erano scritte le indicazioni per trovare il tesoro. Appena il fantasma udiva, però, un calpestio giù per la lunga scala di pietra, la torcia si spegnava e la dama scompariva. A Premadio un'anima del purgatorio apparve ad una servetta sotto forma di donna e le indicò il tesoro nascosto sotto la pigna. Quando il tesoro fu ritrovato e consegnato al proprietario, la donna non apparve più. Un'altra versione della stessa leggenda precisa che la donna apparsa era una strega-fata. Ancora a Bormio, nel 1862, ad una quindicenne apparivano delle anime defunte che indicavano alla giovane la presenza di tesori vicino alla chiesa di S. Sebastiano. Sempre nella stessa località alcuni frati, adirati col demonio, obbligarono costui a sprofondarsi nel terreno. Il diavolo, per vendicarsi, portò con sé tanti denari e così lì sotterrò. A Premadio un contadino, arando nel campo, con la lama toccò la maniglia di un baule. Ignorandone il contenuto, l'uomo si arrabbiò e proferì delle parolacce. Il baule prezioso sprofondò così in un'improvvisa voragine. A Livigno un tizio scovò una calza ripiena di marenghi che, però, si trasformarono in brace viva. A S.Antonio Morignone si narra che gli avi, costretti a fuggire di fronte alle razzie di torme di soldati, nascosero il tesoro della Chiesa di S.Brizio nella cavità della campana, successivamente sepolta in una fossa. L'unico indizio è costituito dalla seguente indicazione, apparentemente molto precisa: "Lassù alla cengia della betulla che porta il ramo secco, accanto al pozzo di lino si deve scavare". In Valfurva, invece, per molti anni la gente vide un forestiero asportare nascostamente minerale prezioso dalla Val Zebrù e si racconta anche di misteriosi viandanti che, svolazzando su per le pareti del Cristallo o del Gran Zebrù, frugavano tra gli anfratti alla ricerca di pietre preziose. Si narra, altresì, di maghet e konfinà che scavavano oro sul monte Reit, metallo che veniva portato in provincia di Brescia oppure disperso nell'acqua durante tremendi temporali o ancora gettato in voragini senza fondo. I maghet, inoltre, offrivano nel calice di un fiore un diamante purissimo, ma chi lo coglieva cadeva nei gorghi dei rivi. Si credeva pure che, sotto la cresta della Reit, fosse nascosto un cofano pieno di denari che mutava, però, la propria collocazione con il mutare del tempo. Un furbastro di Uzza raccontava, invece, che un carbonaio aveva visto scendere dalle montagne di Sclaneira un serpente. Questo teneva in bocca una pietra lucente. Quando il serpente la lasciò per cibarsi, il carbonaio coprì la pietra con il carbone. Più tardi l'uomo la ritrovò: era un finissimo diamante. Evanescenti ed irraggiungibili erano, invece, i tesori che Foronin, il gobbo di Cadangola, credeva di scoprire nella natura selvaggia che lo attorniava. La leggenda, il più delle volte, vuole che il tesoro sia inaccessibile o porti a delle sventure. Ciò dimostra che la febbre dell'oro non trovò terreno facile in Valtellina, in quanto quasi tutti cercavano le proprie fortune nel lavoro quotidiano. torna ad inizio pagina Diavoli • LA LEGGENDA DELL'INCENDIO DI CASA ALBERTI (Bormio) Nella casa Alberti, abitata dal Conte Lechi, si tenevano balli licenziosi e trastulli "edificanti" con l'intervento di Belzebù in persona, attillato come un damerino, ma con il piede da caprone. Il cielo (Dio) era allora intervenuto e, con un incendio, aveva fatto scappare le coppie danzanti e dannate. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEGLI ZOCCOLI DEL DIAVOLO (S.Antonio Morignone) In una pietra sulla strada tra S.Antonio e S.Bartolomeo sono impressi quattro zoccoli di un cavallo. Secondo la leggenda sono gli zoccoli infuocati del destriero del demonio che inseguiva il pio pastore Tirindré. Raggiuntolo, il diavolo cercò di afferrare l'uomo, ma sbagliò mira ed affondò gli artigli nella roccia. Il Signore dal cielo, dunque, protesse il pastore ed il suo gregge. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DI TIRINDRÉ E DEL DIAVOLO Una volta un poveraccio arrivò a S.Antonio Morignone. Nessuno l'aveva mai visto prima. Per il suo modo di fare e di parlare venne soprannominato Tirindré. Assunto dal pastore Martino, il vagabondo iniziò, sempre con la sua solita calma, a lavorare portando le pecore al pascolo e prendendo legna. Non lo turbavano gli scherzi né dei ragazzini né degli adulti. Un giorno lo stesso diavolo cercò di insidiarlo. Infatti, mentre Tirindré si trovava con il suo gregge in un tratto di strada fra S.Antonio e S.Bartolomeo, sentì risuonare alle proprie spalle il sordo rumore degli zoccoli di un cavallo lanciato al galoppo ed una voce beffarda che gridava il suo nome. Il pastore si voltò e vide che il diavolo stava sopraggiungendo verso di lui per travolgerlo. Tirindré, anziché farsi prendere dal panico, si spostò di lato e istintivamente gridò: "Van avanti ti, che mi stoo'ndree", poi si buttò sul ciglio della strada, appena in tempo per vedere il diavolo schiantarsi contro la roccia che costeggiava il sentiero, lasciando tracce indelebili della sua impresa. • VARIANTE B: LA LEGGENDA DELLA PIETRA DELLE DITA Era il pastore più buono di tutte le nostre contrade, il suo vero nome era Antonio e l'unico suo nemico il diavolo. Costui, invidioso della bontà dell'uomo, volle tentarlo, ponendogli davanti un tesoro mai visto. Al pastore sembrò di vedere una betulla, al di sotto della quale era distesa una grande coperta bianca. Dall'albero cadevano foglie che si tramutavano in monete sonanti, mentre una voce suadente lo tentava dicendogli: "Prendi. Ti farò ricco. Prendi tutto quello che desideri. Io sono il tuo signore!". Il diavolo aspettava solo che il pastore si abbassasse a raccogliere le monete per lanciare un enorme macigno contro di lui. Una mano invisibile, quella della Madonna, trattenne però l'uomo, tirandolo indietro di peso: da quel giorno il pastore e la contrada furono chiamati Tirindré. Il terreno improvvisamente si spalancò ed il diavolo con il suo tesoro sprofondò per sempre. Il macigno cadde sull'albero e si conficcò in quel punto. Sulla sua superficie sono ancora visibili impronte di artigli infuocati. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL BUCO DEL DIAVOLO (Valfurva) Nei pressi del Villaggio Ain-Karim, in località Sascin, esiste un buco. Le mamme dicevano ai bambini di non avvicinarsi troppo a questa cavità, in quanto all'interno c'era il diavolo. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO (località tra Sondalo e Bormio - il ponte venne distrutto dalla frana del Monte Coppetto nel 1987) Il ponte che cavalca l'Adda, tra Sondalo e Bormio, sembra sia stato costruito dal diavolo. Questo, prima di costruirlo, strinse un patto con i valligiani. Essi in cambio gli avrebbero dato l'anima del primo che avesse attraversato il ponte. I valligiani, più furbi del diavolo, fecero passare per primo un cane ed il demonio, malgrado il proverbio che dice: "Cane non mangia cane", dovette accontentarsi di quello. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO A BORMIO (Bormio) S.Bartolomeo giunse alle Prese per poi accingersi verso Serravalle e, dunque, entrare in Bormio a scacciare l'eresia. Il diavolo padroneggiava in città e non vi si poteva entrare né per il Passo Gavia, né per il Passo del Foscagno, asilo di lupi ed orsi, e nemmeno per quello dello Stelvio. L'unica soluzione era passare dalla Stretta di Serravalle, dove appunto sarebbe sorto il ponte. A custodire il suddetto passaggio, Belzebù aveva posto due statue colossali di dei falsi, il cui basamento recava la scritta: "Di qui non si passa", con la firma del demonio stesso. I montanari avevano fatto dei patti col diavolo, promettendogli alcune anime all'anno in modo che smettesse le sue angherie. I bormini, però, davano sì le anime al diavolo, ma quelle dei pazzi di Uzza, gabbando in questo modo lo stesso demonio. Un folletto avvisò il diavolo dell'arrivo di S.Bartolomeo. Belzebù si recò, quindi, a Serravalle e, al santo che lo invitava a lasciare Bormio, rispose che non poteva, perché sull'Adda non c'era alcun ponte e perciò non era in grado di attraversare il fiume. S.Bartolomeo scese, senza bagnarsi, in mezzo all'acqua e con un lungo virgulto toccò prima la statua di granito di destra e poi quella di sinistra: esse caddero, si impigliarono una nell'altra e formarono un ponte sull'Adda, dall'una all'altra riva. Il mattino successivo, il diavolo alla vista del ponte quasi svenne. Sconfitto dovette attraversare il ponte e lasciare Bormio. Così nacque il Ponte del Diavolo. • VARIANTE B: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO S.Martino ed il diavolo erano in perenne contesa per spartirsi il dominio sopra la nostra valle. S.Martino voleva relegare, a tutti i costi, il diavolo al di sotto della Serra, ma questi, mal sopportando una limitazione del proprio potere, sferrava contro il santo le sue terribili battaglie giornaliere. Il diavolo era furbo, ma il santo lo era ancor di più. Un giorno il santo promise al tentatore che, se fosse stato capace di costruire sull'Adda un ponte in muratura, gli avrebbe pacificamente ceduto il primo vivente che lo avesse attraversato. A lavori ultimati, il santo si affrettò a spedire sul ponte un caprone ed il diavolo dovette accontentarsi di quello. • VARIANTE C: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO Si narra che un diavolo si impossessò di un ponte. Questo diavolo incaricò un uomo di uccidere ogni persona che si serviva del ponte per oltrepassare il fiume. L'uomo, sempre nascosto dietro un cespuglio vicino al ponte ed armato di spada, assaltava le persone che coraggiosamente usufruivano del ponte per attraversare il corso dell'acqua. Il diavolo fu sconfitto da un uomo molto potente ed ora, in ricordo di questa leggenda, il ponte si chiama Ponte del Diavolo. • VARIANTE D: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO Nei pressi del Ponte del Diavolo, che collega le pareti scoscese della Stretta di Serravalle (luogo sicuramente adatto per il diavolo), Lucifero si mostrava, solo a mezzanotte, sotto forma di un feroce maiale. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI GERVAS E DI FRA GIOVANNI DI S.MARTINO (Valdisotto) In località detta "la fabrica", poco prima della frazione di Morignone, c'era un'osteria. In quella bettola si vedeva sovente la vecchia Zeola, a cui piaceva raccontare remote storie, come quella dell'empio Gervas che divenne il penitente Fratello Giovanni di S.Martino. Di Gervas ella diceva che nessuno aveva mai saputo da dove provenisse, ma solo che aveva venduto l'anima al Maligno in cambio di una spanna di vita con un po' di piacere animalesco. La gente del luogo non era mai riuscito a vederlo in viso, che era invaso dei sette vizi capitali elevati a virtù. Altri dicevano che Lucifero l'aveva fatto laggiù sotto il suo ponte (Ponte del Diavolo) per un improvviso mal di ventre in un venerdì di quaresima. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA SPARIZIONE DEL CAMPANILE DI SEMOGO (Semogo) Il campanile della chiesa di Semogo è sparito una notte del 1923. Il giorno prima c'era, il giorno dopo il sagrestano non lo rivide più: era stato Belzebù assieme ai folletti maligni a portarlo via. Al posto del campanile c'era una traccia di smottamento del terreno che andava giù al Viola e, in fondo, fu trovato il campanile, il quale era slittato per intero ed era lì appoggiato al pendio. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA SPARIZIONE DEL CAMPANILE DI SEMOGO Una notte d'inverno del 1923, Remigio se ne tornava a casa piuttosto allegro, dopo essere stato all'osteria per la solita briscola con Gervasio. Era notte fonda, faceva freddo e scendeva qualche fiocco di neve. La sua casa era poco lontana dalla chiesa di Semogo ed era ormai arrivato. Pensò di ripararsi, come già aveva fatto parecchie volte, nel vano della porta del campanile, in attesa che passasse la bufera. Ma quella sera il campanile sembrava svanito nel nulla e, mentre abbassò lo sguardo giù verso il fondovalle, dove scorre il torrente Viola, vide il campanile appoggiato al pendio ed attorniato da un nugolo di neri diavoli scatenati. Quello che successe dopo, restò per lui una cosa oscura e nella sua memoria rimase a lungo un vuoto. Fatto sta che all'alba il sagrestano Gervasio lo trovò mezzo congelato nella neve. Remigio, ripresosi, gli raccontò che erano stati i diavoli a far slittare il campanile giù nel torrente. Belzebù e gli altri spiriti maligni, visto che la gente di Semogo partecipava assiduamente alle funzioni religiose, si adoperavano in ogni modo a fare dispetti a più non posso alla popolazione, per sviarla da quel comportamento. Ma ogni sforzo fu inutile, anzi la gente spaventata dalle opere del diavolo aumentò ancor di più l'affluenza alle sacre funzioni. Il demonio indispettito aveva deciso persino di sbarrare la porta d'ingresso della chiesa con un macigno che si trovava in un prato poco distante. I suoi tentativi furono inutili, in quanto il macigno non si spostava di un millimetro. A testimonianza di ciò sono tuttora visibili le impronte dei suoi piedi sul terreno. Arrabbiatissimo per il fallimento della propria impresa, Belzebù decise di far cadere il campanile, colpevole di richiamare con i rintocchi della sua campana i fedeli alla messa. Chiamò perciò a raccolta molti spiriti del male, ai quali spiegò il suo piano. Scesa la notte, i maligni iniziarono a spingere con le corna piantate contro il campanile ed i piedi conficcati nel terreno. Già stavano urlando vittoria, quando sotto di loro si aprì un baratro che inghiottì Belzebù e molti dei suoi compari. Da allora, a quanto si dice, i diavoli scomparsero per sempre da Semogo. Intanto il campanile iniziò a slittare e, infine, si adagiò dolcemente in fondo alla valle del Viola senza riportare alcun danno. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI DIAVOLI E STREGHE (Bormio) Il diavolo si trasforma come gli pare e non sempre ha le corna in testa ed i piedi da caprone, ma anche senza vederlo, lo si sente in quello che succede. Sono mancati ragazzi, sono cresciute certe gobbe sul davanti a certe donne che non si sarebbe mai creduto e ad una donna, una certa Agata, la polenta un giorno non voleva cuocere e si è poi saputo che la polenta era stata avvelenata dalle forze infernali. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO O BASILISCO E DELLE STREGHE (Livigno) Lucifero veniva su dalla Valcava con le Diale che in Val Mera si univano alle streghe della Val Bruna e da lì iniziavano la gran sabba per terrorizzare il bestiame. Lì c'erano anche le voragini dove un tempo si scavava il minerale di Belzebù. Sulle vette si davano convegno le streghe della Val Mora, Bruna e Paolaccia per far tregenda in onore del Diavolo. Il basilisco dall'occhio di fuoco (favoloso rettile d'ere remote sinonimo di Diavolo - Satana - Belzebù) durante la notte va in cerca di anime. Le nonne raccomandavano alle nipoti la massima prudenza sui pascoli e nei boschi: 'sfuggi alla tentazione, il basilisco ti porta a perdizione'. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO SOTTO FORMA DI SERPE (Valfurva) Il diavolo appare sotto forma del serpente di Sclaneira durante il mese di agosto e vaga sull'alpe in cerca di anime per onorare la sua misteriosa dimora. Tra le sue vittime si può annoverare Gervas Tognin, che il demonio fece sprofondare dentro la Zocca della Stria Morta (Plaghera). Anche la bella Laura, figlia di Gervas Foricc, spaventata per l'incontro con lo spirito della Valverde, si sovvenne di tutte le creature malefiche della valle e, tra queste, del lunghissimo serpente che scendeva ogni tanto da Sclaneira con una lucente pietra nella bocca. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELL'ANGELO NERO O DEL MOSTRO RAVAN (Lago delle Scale - Val di Fraele) L'Angelo Nero ed il mostro Ravan altro non erano che aspetti di una sola diabolica creatura, la quale andava dagli abissi alle creste e dalle creste agli abissi, mutando l'aspetto e non la sostanza. Quando le fornaci del ferro sprizzavano scintille, l'Angelo Nero compariva tra il fumo e le maligne faville. Le sue labbra avevano sorrisi che parevano ringhi, la sua ombra batteva sulle pietraie seguita dal corteo degli spettri vaganti e, dove batteva, schizzavano livide fiamme per l'erta oscura. Allora i montanari, che vivevano in quei luoghi, da buoni cristiani benedicevano animali e minerali con l'acqua del Lago delle Scale e l'Angelo si copriva il volto, sbatteva le ali di folgore e si dissolveva nel fumo, risalendo su per le creste e ruinando polvere e ghiaia dai dirupi fino ai mughi sopra il lago. L'Angelo Nero lasciava dietro di sé una schiera di esseri invisibili pronti ad assalire i cristiani e a trascinarli nella vorticosa corrente del Vallar, dove l'Angelo Nero piombava dalle creste e si trasformava nel mostro di Ravan. Costui era il capo di tutti i geni maligni, nati dai suoi fittissimi peli, ispidi e duri come le setole. Ravan era spaventoso, aveva dieci teste e, dotato di una forza prodigiosa, faceva tremare e sconvolgere le montagne. Era invulnerabile alle maledizioni umane e terribilmente crudele contro chi aveva accettato di servirlo e poi lo aveva disobbedito come Talp (vedi La leggenda di Talp, servitore del mostro Ravan). Ravan o Angelo Nero odiava la luce del sole e rideva come un pazzo scatenato, quando vedeva l'astro calare e scomparire. Allora urlava nei profondi meandri del Vallar, seguito da una torma di giovani tritoni dalla lunga coda e dal dorso dentellato. Costoro avevano il compito di placare i gorghi dell'Adda per calmare la rabbia di Ravan. Le confraternite religiose del tempo, con camice bianco e cappa rossa di Molina e Premadio, sentenziavano che il mostro fosse nato da un uovo fecondato da un innaturale connubio tra un gigante ed un anfibio usciti fuori dai vapori della terra, quando si era formato il Lago della Scale. Altri, invece, dicevano che fosse nato da un uovo autofecondato da un vecchio gallo e covato in un monte di letame, in cui erano concentrati i veleni di tutti i serpenti del mondo. Tutti, però, concordavano che, fosse angelo o mostro, aveva al suo servizio tutti i furfanti che andavano e venivano per il sentiero delle Scale e per la Val di Fraele. Quei furfanti, ad ogni battito del cuore, gli procuravano un mortale per essere sua vittima sacrificale. I furfanti erano mangiatori di anime. Uscivano dalla nebbia e stavano nell'aria, nell'acqua e nel bosco, seminando paure ed angosce e, trascinando animali ed uomini su per le scogliere, li trasformavano in pietre a guardia delle grotte del tuono. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TALP, SERVITORE DEL MOSTRO RAVAN (Val di Fraele - Lago delle Scale) Un uomo di nome Talp venne dalla Val Bruna con un "gerlo" di minerali ferrosi da portare fin dove iniziava il Lago delle Scale. Lungo il tragitto, l'uomo perse una buona parte dei frantumi pietrosi scavati con tanta fatica. Giunto stanco e sfinito alla riva del lago, rovesciò i minerali rimasti nella barca: quelle pietre scheggiate di laminature di oro puro furono, però, sufficienti per comperarsi un asinello. Allora, Talp con l'asino prese il trasporto di carichi da soma da Pian del Vino fino alla riva del Lago delle Scale. Durante le faticosissime salite, Talp si attaccava alla coda del somaro ed ogni tanto dava delle botte sulla schiena della bestia, quando essa era restia lungo il difficile cammino. L'asino salì e scese quel calvario per una stagione, sfiaccandosi e piagandosi, senza biada e con poco fieno. Un giorno l'asino giunse sfinito sulla riva del lago. Aveva la bocca arsa e Talp liberò la bestia dal carico e, per farla bere, la spinse nell'acqua, bastonandola e bestemmiando. Le acque del lago rabbrividirono e, per la prima volta, si intorbidarono. Si sollevò all'improvviso un vortice d'acqua e l'animale scomparve. Talp, precipitatosi giù per il Vallar, fece in tempo a vedere il somaro uscir fuori dal Fontanon di Boscopiano. Ma la bestia rimpicciolita fuggì verso una baita dei Corni di Pedenollo. Il somaro, mostrando la dura mascella al suo padrone e ripetendo le parolacce imparate da lui, raggiunse la baita calda, odorosa di fieno e siero. Si nascose, dunque, ben bene e nessuno più riuscì a tirarlo fuori, perché fieno, siero e caldo proteggono gli animali. Talp umiliato chiese alla gente del posto lavori di pastorizia, ma nessuno lo volle a servizio. Riprese allora il suo gerlo, andando su e giù per le Scale di Fraele, finché un giorno sfinito, per fame e sete, cadde presso la riva del lago. Annaspò per toccar l'acqua, ma quella improvvisamente si abbassò. C'era all'intorno una mandria al pascolo ed alcune capre, che avevano le corna incise di piccole croci, si avvicinarono a Talp. Costui tentò di afferrare un capezzolo per succhiarlo, ma le capre saltellando e ridendo, gli diedero addosso e lo scornarono, lasciandolo esangue. Le spoglie di Talp vennero gettate in una vicina fornace, dove colava il ferro, affinché di Talp non rimanesse neanche la polvere. Alcuni dicevano che l'uomo avesse stretto un patto con l'Angelo Nero, mentre altri sostenevano che era stato allevato dal mostro di Ravan, al quale si era ribellato. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO BORMINO SEPOLTO VICINO A FRONTALE (Dossi Alti - Frontale) Dossi Alti, una frazione della contrada di Frontale, è il paese più litigioso del mondo. La colpa risale all'apostolo S.Bartolomeo che seppellì in quel luogo il diavolo bormino, scacciato dall'inferno appunto perché troppo litigioso. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI UN FATTO DIABOLICO Un giorno a compare Matteo si presentò un verme nel "cotaio". Egli volle affilare comunque la falce, ma c'erano tanti grilli nell'erba e tanti sassi, venuti su in un attimo, che tornò a casa più morto che vivo. La mattina dopo egli, che non era mai stato ammalato, aveva una "punta" ed il sangue che gli cavarono dal braccio divenne nerastro. Se la cavò per miracolo, facendo celebrare otto messe. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO CHE PORTA VIA I CORPI (Valfurva) B. ... di S.Antonio Valfurva, che era stato in America, è confinato nella Val d'Uzza. Quando morì, nella cassa non si trovò più il corpo, perché era stato portato via dal diavolo. torna ad inizio pagina Streghe • LA LEGGENDA DELLA MAGA DEL CRAP (Val Grosina) Beppe era un capraio, a cui la madre morente aveva raccomandato di pregare e di non dimenticare di recitare la corona nella prima domenica di agosto, festa della Madonna del Muschio protettrice dei pastori. Beppe, però, era costretto a restare per lungo tempo sull'alpe, in una baita sul cui retro si innalzavano a perpendicolo dei crestoni rocciosi. Tra questi c'era uno sperone chiamato "el crap de la maga", perché un tempo fu il nido preferito d'una radiosa donzella, accogliente e prosperosa, ma anche temuta e maledetta da tante mamme in quanto, apparendo e sparendo in certi meriggi infuocati, conduceva a demenza o a dannazione più di un giovane pastore. I garzoni frequentatori dell'alpe si confidavano, in gran segreto, che bastava pensarla fortemente all'attimo dell'alba, quando il giaciglio era tiepido, e dir tre volte una parola strana, perché la maliarda la si vedesse folleggiare tra candidi e vermigli veli là sul Crap. Anche Beppe pensava spesso con desiderio alla maga-strega, ossia alla bellissima donzella che appariva sul roccione. La mattina del sabato precedente la prima domenica di agosto, Beppe disse fremente la parola strana. Subito gli apparve, bellissima ed invitante, la maga ed il pastore la seguì. Quando, però, era sul punto di afferrarla, vide sotto i veli due zampe sottili e pelose di capra e, terrorizzato, invocò l'aiuto della mamma morta. Un fragore assordante dalla vetta si ripercosse giù fino alle malghe ed un rovinio di macigni, dentro una nuvola nera, precipitò con il giovanotto fin presso la sua baita. Beppe si ritrovò, quindi, nella propria dimora, dove gli apparve la madre. Questa gli raccomandò di recitare il rosario la domenica, festa della Madonna del Muschio, e di diventare buono. Beppe obbedì, richiamò le proprie capre e poi si recò a messa, ove ritrovò la sua Giulia. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA RIVELATASI TALE SOLO DOPO MORTA (Bormio) Una donna, dopo morta, si rivelò strega. Quando fu sollevato il lenzuolo che la copriva, ella apparve nera come il carbone. Una giovane sposa che la vide fu tanto colpita da ammalarsene e non riebbe salute, finché fu benedetta dal curato. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI RADUNI DI STREGHE IN VARIE LOCALITÀ (Bormio) Le streghe si radunavano una volta in varie località, tra cui il Pian della Reit, l'Agneda, le Stabline di Valdidentro e Semogo, nei pressi dell'imbocco del paese dove c'era l'abitazione dei Marenda. Esse si portavano rapidamente da una località all'altra, volando per l'aria su manici di scopa. Le più giovani erano cavallerescamente portate da Belzebù in persona. Vestito da elegante damerino con bizzarro pennacchio in testa, egli apriva poi le danze. Allorché l'alba stava per spuntare, cessava il ballo e venivano dal torvo signore della notte dati gli ordini per i malefizi. Lo confessarono tra i tormenti e le lacrime i poveri indiziati in numerosissimi processi bormiesi del XVI e XVII secolo. Si facevano malefizi contro le bestie, i frutti della campagna e le creature del buon Dio. Languivano le fiorenti mandrie, piegavano le messi inaridite prima di giungere a maturazione, ammalavano le persone, soprattutto le spose ed i bimbi. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE E DI ROCCO (Livigno) Alle Stebline, in Val delle Mine o alla Baita dell'Olta si svolgevano sabbe di streghe o danze di fantasmi. Si diceva che anche Rocco, colui che per primo creò un collegamento invernale tra l'Alta Valtellina e Livigno, fosse legato a tale mondo: un uomo giurava d'averlo visto agitare, come amplissime ali i due lembi della sua mantellina stregata che faceva ombra sulla neve e sotto il sole, e donava refrigerio e incitamento magico alla mula stanca. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI GERVAS E DI FRA GIOVANNI DI S.MARTINO (Valdisotto) In località detta "la fabrica", poco prima della frazione di Morignone, c'era un'osteria. In quella bettola si vedeva sovente la vecchia Zeola, a cui piaceva raccontare remote storie, come quella dell'empio Gervas che divenne il penitente Fratello Giovanni di S.Martino. Di Gervas, probabilmente creatura legata al maligno, diceva che costui aveva ricorso ai sortilegi di una stria in Val di Rezzo, la quale gli procurava filtri schifosi per dare il malocchio. Questi consistevano in un miscuglio di saliva di cane, orina di pecora, pelo bruciato tolto a un caprone, sterco di corvi ed altre sostanze ancora più appetitose per far malia. Con queste misure Gervas metteva mano dappertutto diffondendo la sua scabbia puzzolente. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE E DEMONI IN VAL DI FRAELE (Val di Fraele) Le streghe ed i demoni vagavano sulle rupi del Doscopa, del Pettini, della Parete Alta di Paolaccia e di Plator dissetando le fauci, come vampiri, nel sangue dei morti, tra i brividi acuti del vento ed i fischi tonanti degli uragani. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI INCENDI (Bormio) Nel 1715 nella terra di Bormio scoppiavano molti incendi nel giorno di martedì. Si attribuì, perciò, tale fatto ad una stregoneria. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLE STREGHE DELLA POLA (S.Antonio Morignone) Le mamme invitavano i bambini a non avvicinarsi mai troppo all'Adda, poiché vi abitava la Mandragola con alte creste violacee ed una bocca spalancata, pronta a divorare chiunque in un solo boccone. Bisognava rincasare non appena rintoccava l'Avemaria della sera, perché per coloro che si attardavano a zonzo nel cuore della notte scendevano dalla Pola a stormo le streghe. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA GIUSTIZIA PUNITIVA (Gavia, confine tra Bormio e la Valcamonica) Dal "bosco sacro", nella valle del Frigidolfo camuno, tra Bormio e la Valcamonica, il paese Pezzo è minacciato dalle streghe ed il bosco è sacro, perché protegge l'abitato dalle valanghe che altrimenti sarebbero causate dalle streghe. Ma se la fede e gli esorcismi possono difenderlo dalle malefatte delle streghe, essi non lo sottraggono alla prepotenza della potente famiglia dominante in Ponte di Legno. La Giustizia Vendicativa, impersonata in una bianca fata o in un cavaliere armato, scende dalla "foresta sacra" e vaga a mezzanotte sopra le case di Pezzo. I fantasmi vendicatori avanzano sopra Ponte di Legno, minacciando e lanciando lampi dagli occhi e maledizioni tremende contro i prepotenti. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI DANZE DI STREGHE ALLE TORRI DI FRAELE (Isolaccia) Un sabato sera comare Angela, avendo visto una specie di nera catena che legava le torri di Fraele una con l'altra (era una catena formata da streghe che danzavano), tornò spaventata ad Isolaccia, dove raccontò al curato quello che aveva visto. Comare Angela consigliò al curato di recarsi in processione a piedi nudi verso le torri di Fraele, per purgare l'atmosfera dalle streghe ed evitare il temporale. Il prete, non credendo alle streghe, derise comare Angela e si diresse, invece, in processione verso Semogo, ma fu colto da un violento temporale. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLE STREGHE DEL MONCUCCO (Moncucco, presso il Tonale-Reit-Valtellina) Sul Moncucco, streghe e diavoli si riuniscono in tregende ed in convegni diabolici. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE, DI DIAVOLI E DI SORTILEGI (Bormio) Sulla Reit nella notte di S. Silvestro convenivano demoni, mentre sulle Scale di Fraele attorno alle due torri si radunavano streghe in tregende. Nel bormiese il bestiame andava a male, la grandine faceva scempio del raccolto, la mammella della nutrice versava germi fatali nei bambini: tutto ciò era effetto di sortilegi e di polveri infernali seminate nell'aria. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE E DI MALEFICI (Bormio) Le streghe volano per l'aria e cavalcano una scopa. Se una di quelle scope, adoperate per quel servigio infernale, viene poi utilizzata da una creatura innocente, succedono dei fenomeni strani: la polvere ritorna sul pavimento della stanza, quando si crede di averla pulita bene; può capitare di trovare il mondezzaio nel cortile pulito e di trovarvi monete d'oro fabbricate da Belzebù che, se toccate da una creatura umana, mettono un diavolo per capello e nessun prete riesce ad esorcizzarle. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL PASCOLO RUBATO (Valverde, ossia Valfurva) La "stria" (strega) era morta tra le braccia del montanaro Gervas, sulla Valle dell'Alpe, proprio nell'attimo in cui in una casa del paese un grosso gatto nero finiva in un forno, perché disturbava l'impasto del pane di segale. Dalla stria, sprofondata nella "Zocca", Gervas aveva ricevuto in dono un libercolo giallo, sul quale c'erano scritte varie formule magiche. Gervas sapeva, però, che il libro andava usato con parsimonia, perché, giunto all'ultima pagina e letta quella, l'oscuro immenso potere sarebbe cessato e tutti i suoi possedimenti sarebbero andati in un rovinio spaventoso. Gervas si servì del libro e divenne il pastore più ricco della valle, invidiato da tutti. Se il pascolo aveva poca erba, bastava leggere una formula e voltare la pagina. Allora la sua malga fioriva, mentre sulle altre intristite le bestie dimagrivano. Poteva sciogliere la brina, cacciare le serpi oppure rendere fecondo per capre e pecore un canalone grigio. Se le zecche si moltiplicavano sulla pelle dei suoi agnelli e succhiavano troppo avidamente il sangue, bastava leggere una formula e voltare pagina, perché tutte le bestie divenissero pulite e sane. Ci fu poi una gara tra i torelli dei vari montanari per l'assegnazione di un pascolo: il torello vincitore avrebbe permesso al suo padrone di entrare in possesso del pascolo. Gervas, servendosi del libro magico, vinse la gara e per questo motivo il pascolo fu considerato pascolo rubato. La strega prima di morire gli aveva, però, raccomandato di guardarsi dalla serpe di "Sclaneira" (diavolo), consigliandolo di aver timore e riverenza se, per caso, gli fosse capitato di incontrarla nell'agosto infuocato a vagar sull'alpe in cerca di anime per onorare la sua misteriosa dimora. Un giorno di agosto apparve, per l'appunto, a Gervas il serpente di Sclaneira e l'uomo, dopo aver letto l'ultima pagina del libro, lo chiuse e si fece il segno della croce. La serpe piombò sul petto di Gervas, dove egli teneva il libro magico. Il pastore rotolò nella "Zocca della stria morta" e se ne perse la memoria. Gli elementi meteorologici si scatenarono e, quando tutto cessò, la montagna sembrò nuova con l'aria fresca, chiara e piena di colori. Solo la mandria di Gervas era distrutta e la Zocca della stria, dove il pastore era rotolato, si era fatta più fonda. Da quel tempo i pastori, la sera sull'alpe, si riuniscono e recitano il rosario. I vecchi dicono che è un'alpe rubata e chi la rubò deve venire, sempre e per l'eternità, a trascorrere la sua pena lassù nella baita diroccata, vicino al cendré, ripassando le pagine del suo libro di magie. E deve rimanere dall'equinozio d'autunno a quello di primavera: aveva goduto il pascolo durante la stagione buona, ebbene che lo godesse anche e per sempre nella stagione cattiva. Infatti, capitò ad un dubbioso di voler proprio vedere e vi trovò il serpente che, sulla pietra del focolare, si scaldava davanti e di dietro, afferrava le molle con la coda forcuta e ravvivava la brace, mentre brontolava con la voce di Gervas Tognin. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLO STRION DI LIVIGNO (Livigno) Un tale di Livigno, mentre falciava l'erba in un prato, vide una volpe e le tirò una falciata sulle zampe. La volpe si allontanò, zoppicando. Tornato a casa seppe che ad un tizio del paese avevano portato il "Signore", trovandosi in condizioni allarmanti per gravi ferite agli arti inferiori. Pensò, allora, che quell'uomo fosse stato ferito da lui nel prato. La volpe "l'era un striòn". • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA CERVA, DELLA VOLPE E DI BEPIN DE LA PIPA (Livigno) Il cacciatore Bepin de la Pipa, andato a caccia risalendo il ponte delle Capre su per la valle del torrente Torto verso Trepalle, vide una bella cerva legata ad un albero e la slegò, lasciandola libera invece di ucciderla. Recatosi poi alla fiera di Tirano e non avendo venduto il bestiame, egli venne avvicinato da una bellissima donna a lui sconosciuta. Costei diede a Bepin il denaro corrispondente al bestiame, lasciando al livignasco sia i soldi sia gli animali. Ella raccomandò al cacciatore, inoltre, di essere sempre buono con la Cerva del Bosco e di uccidere, invece, la Volpe fulva delle Mine. Il montanaro comprese che la trasformazione della fanciulla in cerva era stato un incantesimo, uno dei tanti compiuti da un tizio stregone in grado di mutare la natura delle più belle fanciulle e di rilegarle in luoghi deserti e paurosi. Passarono alcune stagioni ed un pomeriggio, mentre si trovava a falciare l'erba in un prato che aveva alla Tresenda presso lo Spöl all'imbocco della Valle delle Mine, Bepin de la Pipa vide la volpe. Egli la colpì con una terribile falciata, sicché la bestia, assai malconcia nelle zampe, fu costretta a fuggire e si infilò su per la valle verso li Steblina, dove le ossa di chi lassù muore devono essere lasciate. Infatti, se vengono tolte di là, subito vi tornano per forze misteriose, condannate alle pietraie spente fuor del tempo. La sera di quel giorno stesso, in paese fu portato d'urgenza il viatico ad un tizio stregone, ferito alle gambe così come era avvenuto alla volpe rabbiosa colpita da Bepin. Certo il tizio era "el striòn" che si era incarnato in quell'animale; altri non era che lo stregone che aveva fatto male a quella fanciulla, così pensò e commentò il montanaro nelle sere successive. Vero è anche, che con la morte di costui, nella vallata non si sentì più parlare di incantesimi. Infatti, non si è più sentito raccontare né di cerve legate né di volpi ringhiose in quel di Livigno. Neppure è più avvenuto che alle donne del luogo si involassero i panni e che le lenzuola stese fuori sui prati si vedessero poi, il giorno successivo, biancheggiare sulle cime dintorno. Solo nella Valle delle Mine si odono ogni tanto i gemiti degli spiriti delle solitudini, i quali si divertono a far rotolare sassi e macigni e che nelle notti solenni mandano lunghi ululati di angoscia. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA VALARA MORTA CARBONIZZATA (Valfurva) Un giorno a tre uomini che facevano il pane in una casa privata comparve un gattino molto insolente. Lo buttarono nel forno, ma per poco perché esso, con la sua terribile forza, riuscì ad abbattere lo sportello e a fuggire lontano. Poco dopo suonava l'agonia che annunciava la morte della strega Valara, morta carbonizzata. I tre uomini compresero che il gattino era la strega. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA STREGA SOTTO FORMA DI GATTO (Valfurva) Gervas Tognin aveva goduto dell'amicizia e dell'intima confidenza di un'autentica "stria" da viva assai nota nella valle. Si sapeva che gli era morta tra le braccia su alla malga, nei pressi della "Zocca della stria morta", contorcendosi ed imprecando proprio nell'attimo in cui, giù in una casa del paese, un grosso gatto nero finiva in un forno arroventato, perché disturbava l'impasto del pane di segale. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA CHE DISTRUSSE LA ZANGOLA PER IL BURRO (Valfurva) Un giorno a Plazzola, frazione di Madonna dei Monti, venne portata alla fontana una zangola, per poterla così preparare al successivo trasporto al maggengo. La zangola fu riempita d'acqua e lasciata lì durante il giorno. Alla sera, sull'imbrunire, il proprietario andò a ritirarla, ma appena sollevò la zangola, questa si sfasciò. Era stata quella donna creduta strega che, passando vicino alla zangola, l'aveva toccata e che successivamente, vedendo il proprietario, gli aveva detto: "Quest'anno di burro non ne farete più". torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL GATTO CHE STREGÒ LA ROSINA (Bormio) La Rosina di Buffalo, il bravo al servizio del duca Feria, fu stregata da una fattucchiera che le apparve nelle sembianze di un gatto. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA SOTTO FORMA DI CANE (Valfurva) Una donna di Valfurva finì sul rogo, in quanto fu accusata di trasformarsi in nero cagnaccio con occhi di fuoco. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA CROCE DELL'ALPE VAGO (Livigno) Sull'alpe Vago c'è una croce, detta "Croce della Penitenza", che i livignaschi portarono là in pellegrinaggio nell'anno 1642 (periodo in cui nella zona la peste mieteva molte vittime) per chiedere perdono delle loro colpe e per potersi liberare da una forma diabolica, da una stregoneria: i loro piedi erano divenuti più lunghi. Le prime ad accorgersi del malefizio furono la Maddalena e la Lucrezia del Canton. Una mattina la Maddalena, quando al buio fece per infilare i piedi nelle grosse scarpe, per quanti sforzi facesse non vi riusciva, tanto erano divenute corte. Pensò a qualche spiritello maligno che gliele poteva aver cambiate, forse quello che, di solito, le si accucciava sul petto per provocarle l'incubo o quell'altro che si divertiva a legare di notte le code delle mucche a due a due. In realtà le si erano allungate le piante dei piedi di ben due dita e ancor più lunghi erano l'alluce e l'altro dito, che si incontravano torti come perfide tenaglie. Le donne pensarono, dunque, ad una stregoneria e passarono la notte successiva pregando. Il mattino dopo anche Lucrezia aveva i piedi stranamente sformati. Recatesi di corsa in chiesa scoprirono che il maleficio aveva colpito tutti i montanari della valle. Vi fu chi disse che era opera di streghe, chi che il maligno si era mostrato su a li Steblina, altri avevano veduto un gatto nero ed una lontra mandare strani versacci in riva al Rin della Tresenda, chi ancora aveva veduto una civetta con tre code venir su dal Ponte del Gallo. Si recarono, perciò, tutti in processione a piedi nudi sull'Alpe Vago ed una volta piantata la croce guarirono dal male. La fede vince qualsiasi malizia diabolica. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGATURA FATTA ALLA GHITA (Bormio) Ghita è ammalata ed ha paura della gente. E' stata stregata da una moneta d'oro raccolta in un mondezzaio, moneta che era stata toccata dalla scopa di una strega. Ghita era andata, infatti, in casa di nobili a Bormio come serva per sostituire una sua amica e, mentre scopava in un corridoio buio, toccò con la scopa una moneta d'oro, nella quale si era tramutata una potenza diabolica. Ghita, anziché bruciare la scopa e non toccare la moneta, incuriosita toccò la moneta e subito fu stregata. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA MUCCA STREGATA PRESSO LA CHIESA DI S. GALLO (Bormio) Una mucca, giunta una sera di venerdì vicino alla chiesa di S.Gallo, si arrestò improvvisamente dando segni di terrore. Subito si rifece tranquilla, quando le fu intrecciata alle corna una corona del rosario: la stregatura era cessata. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGATURA DI DUE MUCCHE IN VALDIDENTRO (Valdidentro) Due mucche, passando su di un sentiero di montagna in una località già famosa per tregende, si arrestarono ad un tratto e non fu più possibile mandarle innanzi. Finalmente un bimbo, un "innocent", che seguiva il carro vide uno stregone fermo sul sentiero a braccia aperte. Bastò un segno di croce sulle corna, perché le bestie riprendessero docilmente il cammino. Streghe e stregoni divengono, infatti, impotenti se si avverte la loro presenza o si è pronti a scongiurare i malefizi invocando la divinità. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL FOLLETTO CHE SI TRASFORMÒ IN UN GOMITOLO DI LUCIDO FILO (Cepina) Una bella giovane divenne la vittima di un folletto che, per vendicarsi, si trasformò in un gomitolo di filo. La donna lo utilizzò per cucire l'abito da sposa, ma quando si trovò in chiesa il vestito si scucì e cadde a terra. Così la poveretta non fu mai condotta all'altare, perché considerata la sposa d'uno "striament" (stregone). torna ad inizio pagina Maledizioni ================================================================== Tesori nascosti • LA LEGGENDA DELLO SCRIGNO PIENO D'ORO (Valdidentro) In Valdidentro, in un profondo precipizio, esiste uno scrigno colmo d'oro. Nessuno può coglierlo, perché vi sta di guardia Belzebù sotto forma di caprone che si avventa contro chiunque osi avvicinarsi. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL BAULE NASCOSTO IN UN CAMPO (Premadio) Un contadino di Premadio, arando un campo, con la lama toccò la maniglia di un baule ma, ignorandone il contenuto, si adirò e proferì delle parolacce. Il baule prezioso sprofondò così in un'improvvisa voragine ed il contadino restò con la maniglia appesa alla lama. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TESORI NASCOSTI A BORMIO (Bormio) Il demonio mette in vista, una volta all'anno in una data località, i suoi tesori per accendere nell'uomo la triste e fatale brama dell'oro. Le foglie si tramutano in monete d'oro. Una volta il diavolo espose su di un lenzuolo un mucchio di foglie ed un uomo, passando, ne intascò una manata ma poi, sentendo in sé uno strano malessere, le buttò via. In fondo alla tasca rimase qualche foglia che si mutò in monete d'oro. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TESORI NASCOSTI DAL PATRIZIATO (Bormio) A Bormio, le leggende di tesori nascosti si intrecciano coi ricordi di un patriziato ricco e potente. Difatti, nei sotterranei bui che collegavano le casate più potenti, la tradizione vuole che si spengano le fiaccole in mano a coloro che vogliono penetrarvi, mentre persone vecchissime narrano che sui lumi soffiano degli spiriti invisibili, custodi laggiù di tesori famosi. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEI TESORI NASCOSTI NELLA CASA DEA (Bormio) Nei sotterranei della casa Dea, dov'era una sala sfavillante, teatro la notte di balli licenziosi, esistono dei tesori. Si narra di donne del popolo che furono condotte ad occhi bendati attraverso una rete di sentieri misteriosi. Una notte, nel fervore della danza, si spensero i lumi, tremarono le pareti e comparve fra lampi sanguigni il demonio. Da allora la sala fu murata e si narra di strani rumori che si odono nel silenzio della notte, di neri gattoni che passano rapidi sui tetri loggiati lampeggiando negli occhi e di una signora vestita di seta che appare di quando in quando. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA DAMA BIANCA (Bormio) La Dama Bianca usciva dal regno dell'ombra, tutta avvolta in bianchi veli, agitando misteriosamente delle antiche pergamene su cui erano scritte le indicazioni per ritrovare il tesoro nascosto. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA DAMA BIANCA A Bormio una dama bianca, agitando misteriose carte al lume di una torcia, cerca in un profondo sotterrano il "suo tesoro", ma appena ode un calpestio giù per la lunga scala di pietra, la torcia si spegne e la dama svanisce. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA CALZA RIPIENA DI MARENGHI (Livigno) A Livigno un tizio scovò, tra l'interstizio di travi di una antichissima casa, una calza ripiena di marenghi d'oro. Quando fece per contarli, si scottò terribilmente le dita: i marenghi si erano mutati in brace viva. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELL'ANIMA DEL PURGATORIO CHE INDICA ALLA SERVETTA DOV'ERA NASCOSTO IL TESORO (Premadio) Una donna comparve ad una servetta e, senza parlare, batté con la mano tre colpi nella cupola della stufa (pigna). Fatta abbattere la stufa, fu trovato molto denaro nascosto nella cupola. La donna apparsa alla servetta era un'anima del purgatorio, la quale non poteva andare in paradiso fino a quando non fosse stato scoperto il denaro nascosto. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA GIUNONICA SIGNORA METÀ STREGA E METÀ FATA, APPARSA AD UNA SERVETTA Una strega-fata (di quelle disposte a fare del bene e amate dal popolo) apparve ad una servetta di Premadio. La bella signora batté tre volte le nocche delle dita sulla pigna e poi scomparve. Abbattuta la pigna vi fu trovato sotto un tesoro. La buona fatina, anima in pena per un tesoro mal acquistato e trafugato in vita, aveva dato chiare spiegazioni alla servetta, affinché il tesoro fosse consegnato al legittimo proprietario. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL TESORO DI S. SEBASTIANO (Bormio) Nel 1862 ad una giovane quindicenne di Bormio comparivano anime defunte ed ombre misteriose, le quali insegnavano alla ragazza che, se si fosse scavato vicino alla chiesa di S. Sebastiano, si sarebbe trovato un ingentissimo tesoro ed un'altra chiesa da tempo immemorabile sepolta. A tali profezie credettero anche quattro preti del paese. Cominciarono così gli scavi per ritrovare il tesoro. Si scoprì, però, che gli spiriti erano due buontemponi del paese, i quali imposero per bocca della fanciulla visionaria i lavori di scavo e successivamente i pellegrinaggi. Alla fine Don Silvestri, uno dei preti che faceva parte della società costituitasi per gli scavi, fu sospeso "a divinis" e così la società si sciolse. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TESORI NASCOSTI NELLE MURAGLIE, SOTTO LE SCALE, NELLE CANTINE O IN LUOGHI SOLITARI (Bormio) Anticamente certi frati, proprietari di una chiesa ora distrutta ed in cui si cerca il tesoro, adiratisi con il diavolo lo obbligarono a sprofondare in quel terreno. Il demonio, per vendicarsi, portò con sé tanti denari e li sotterrò insieme a lui. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA CAMPANA SEPOLTA (Valdisotto) In tempi in cui attraverso la contrada scorrazzavano torme di soldati che razziavano qualsiasi cosa vedessero attorno a loro, gli abitanti della zona, incalzati dall'ansia di fuggire, nascosero ciò che poterono. Anche la chiesa di S. Brizio, posta quasi al limite della valle, possedeva un suo piccolo tesoro. Qualcuno, nutrendo in cuore la speranza di salvarlo, cercò un nascondiglio sicuro. Il tesoro di ori e lini venne, dunque, deposto nella cavità della campana, successivamente calata nel fosso. La terra al di sopra venne eguagliata, perché non rimanesse ondulazione o catasta di sassi a tradirne la presenza. La campana venne sepolta da coloro che fuggirono per ultimi, unici testimoni di questo nascondiglio. Costoro lasciarono, però, come indizio per il ritrovamento del tesoro, un'indicazione apparentemente precisa: "Lassù alla cengia della betulla che porta il ramo secco, accanto al pozzo di lino". torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL TESORO DELLA REIT (Valfurva) Sotto la cresta della Reit è nascosto un cofano pieno di denari, traslucenti sull'alba e sul tramonto. Il cofano muta sempre il sito col mutar del tempo. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA (Valfurva) I maghet scavavano l'oro dai fianchi dei monti della Val d'Uzza per poi trasportarlo in fretta e furia nel bresciano. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA I maghet cavavano nascostamente l'oro della Val d'Uzza e coglievano il momento in cui il temporale impazziva per scendere veloci e fuggire in Valcamonica con i tesori arraffati. • VARIANTE B: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA I maghet erano al servizio di un orco, la cui caverna era situata in Valcamonica. Essi facevano ogni giorno la spola tra la caverna e la Reit per ordine del loro capo. Compito dei maghet era quello di cavare l'oro e di portarlo all'orco, bramoso d'oro. I maghet perirono durante un violento temporale, mentre la caverna dell'orco, rivestita e stracolma d'oro, divenne inaccessibile a causa di una frana. • VARIANTE C: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA Sulle sponde dei rivi, quando il sole è alto e caldo, compaiono i maghet, offrendo nel calice di un fiore, un diamante purissimo. Chi lo coglie, cade però nei gorghi. Per liberarsi dalla tentazione bisogna invocare il proprio Angelo Custode e non imprecare o nominare il maligno, altrimenti costui appare in sette salti davanti al malcapitato. • VARIANTE D: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA REIT I konfinà della Reit cavano l'oro che tanto hanno amato in vita per una giusta legge del contrappasso. Quell'oro, però, non può più destare la febbre in alcuno. Infatti, i maghet scatenano temporali e bufere e con le frane travolgono anche l'oro della Reit nel torrente Frodolfo, che lo trascina lontano. I maghet, con i loro dispetti, salvano i confinati d'Uzza dalla febbre dell'oro. • VARIANTE E: LA LEGGENDA DI KONFINÀ A BORMIO Nel Vallon di Uzza, nel Vallon del Braulio e nei boschi di Pezzel, i confinati raccolgono grandi secchi d'oro, stillante goccia a goccia dalle rocce, e quando il secchio è colmo, faticosamente lo portano in alto e lo vuotano in voragini senza fondo. • VARIANTE F: LA LEGGENDA DI KONFINÀ IN VAL D'UZZA In Val d'Uzza erano confinati B. ... di S.Antonio Valfurva e R. ... della Madonna dei Monti. Venivano confinati dai religiosi e dai preti sulla Reit a cavar l'oro "parké i fecìòn tanta balosada" (perché fecero tante bricconate), come afferma il capraio Marco Granaroli, novantenne che raccontò il fatto. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI MISTERIOSI VIANDANTI (Valfurva) Si racconta di misteriosi viandanti che, svolazzando su per le pareti del Cristallo o del Gran Zebrù, frugano tra gli anfratti e raccolgono pietre preziose. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DI MISTERIOSI VIANDANTI Un forestiero, con incantesimo, saliva e scendeva meravigliosamente agile la valle Zebrù per cogliere nascostamente dentro secchielli l'oro che colava, come gocce di miele, da un anfratto sotto la Vedretta delle Miniere. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL CARBONAIO DI UZZA CHE AVEVA VISTO SCENDERE DALLA MONTAGNA UN SERPENTE (Valfurva) Il carbonaio d'Uzza aveva visto scendere dalla montagna di Sclaneira un serpente che teneva in bocca una pietra lucente. La bestia la depose, si cibò d'erba e tornò in su. Il carbonaio aspettò di nuovo il serpente e, quando questi depose la pietra per mangiare, l'uomo la ricoprì di carbone. Ritornato successivamente a guardare la pietra, il carbonaio scoprì che era un diamante. Il serpente era un'anima in pena, quella di un avaraccio che non mollava con facilità il denaro. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLO SPIRITO DELLA VALVERDE - SERPENTE DI SCLANEIRA Laura si sovvenne di quel lunghissimo serpente che scende ogni tanto da Sclaneira con una lucente pietra nella bocca. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA NOBILE TIROLESE FUGGITA DAL CONVENTO DI MÜNSTER PER AMORE, RAPITA DAL PROPRIETARIO DELLE MINIERE DI FRAELE E DI PREMADIO (Valdidentro) Una nobile e bella tirolese, ospite del convento di Münster, venne rapita da un signore valtellinese invaghitosi di lei. Ne nacque tra Bormio e Innsbruck una guerra diplomatica per i reclami del padre oltraggiato e della luogotenenza di Innsbruck a Bormio. Venne ordinato al rapitore di restituire l'amata, ma il Signore delle Miniere di Fraele e Premadio preferì rinunciare alle ricchezze e fuggì da Bormio con l'amata. Miniere e forni vennero resi inutilizzabili ed il metallo prezioso venne nascosto. Silenzio e rovine rimasero in quelle valli e la tradizione di un nuovo tesoro nascosto si aggiunse alla leggenda amorosa. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL GOBBO DI CADANGOLA (Valdidentro-Livigno) Cadangola è una valle misteriosa con sentieri faticosi che conducono alle Bocche di Trela, di Trelina, all'Alpe di Trela, alla Val dei Pettini e alle polle dell'Adda per passaggi fra ghiaioni morenici dove la vita è assente. Lassù c'era un tempo la più ricca villeggiatura estiva delle capre, delle pecore e dei vitelli. Era il regno della pastorizia arcaica che durò fino alle stagioni ormai lontane in cui vi andava a far burro e formaggio Foronin, il gobbo di Cadangola. Foronin, ometto insolito creato proprio per quel mondo singolare, conosceva i segreti della sua montagna, dei suoi pascoli e dei suoi boschi. Una volta si era ricoverato sotto alcune rocce sporgenti a mo' di tetto, perché sorpreso da un temporale. Quando uscì da lì si accorse che gli brillavano gocce d'oro tra i capelli. Tornò sui suoi passi e scoprì una fessura per la quale trasudava acqua con pagliuzze lucenti, ma bisognava perdere troppo tempo per raccoglierne tanto quanto un ago d'abete. Foronin conosceva le buche disseminate sul crinale della Motta Grande e spiegava come brillassero candidissime sotto la luna, essendo il fondo di esse cosparso d'argento, ma non si era mai lasciato vincere dalla tentazione, perché temeva le burle della luna balorda. L'uomo sorrideva, raccontando quando aveva veduto le profondità delle Presure, e riteneva che il fondo delle voragini fosse tempestato di zaffiri e rubini, perché sfavillava come la luce dell'arcobaleno. Egli, però, non si era mai tentato di scendere, essendo ciò possibile solo nel plenilunio di marzo. Ma chi mai si sarebbe avventurato ad un'impresa simile in quella notte sacra?
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Bormio
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Introduzione Uno dei nuclei importanti delle leggende valtellinesi è costituito dalle leggende che hanno come tematica quella dei poteri e degli avvenimenti meravigliosi. In questo gruppo sono comprese le leggende relative al diavolo, alle sue creazioni ed ai suoi seguaci quali streghe, spiriti ritornanti, magie, sortilegi, patti col diavolo, maledizioni e tesori incantati. Diavoli Talvolta la topografia dell'orrido è collegata ad una densa mitologia che vede il diavolo come protagonista di imprese eccedenti l'umana misura: un picco, un masso od un vallone recano spesso impronte diaboliche. A S.Antonio Morignone, ad esempio, sono impressi in una pietra i quattro zoccoli infuocati del demonio che seguiva il pio pastore Tirindré. Quando lo raggiunse, il diavolo cercò di afferrare l'uomo, ma sbagliò mira ed affondò con gli artigli nella roccia. La morale di tale leggenda è che il Signore, dal cielo, ha protetto il pastore ed il suo gregge. Un'altra versione vuole che il diavolo, invidioso della bontà del pastore Tirindré, cercò di uccidere l'uomo: non appena questo si sarebbe abbassato a raccogliere un tesoro diabolico, un enorme macigno sarebbe stato scagliato su di lui. La Madonna, però, intervenne trattenendo Tirindré e tirandolo indietro di peso. Da qui derivò il nome del pastore e della contrada. Intanto, il macigno cadde nel punto prestabilito, presso la pianta dove erano apparse le monete maledette, e sulla sua superficie sono ancora visibili impronte di artigli infuocati. Tra l'uomo ed il diavolo quasi sempre è quest'ultimo che perde, mentre il primo ottiene quello che desidera e salva la propria anima.In Valfurva esiste una cavità detta "Buco del Diavolo". Il diavolo, secondo varie credenze leggendarie, ha costruito anche bastioni, castelli e ponti, come il Ponte del Diavolo situato tra Sondalo e Bormio (il ponte è scomparso nel 1987 a seguito della frana del Monte Coppetto). Il diavolo era, infatti, venuto a patti con i valligiani, i quali in cambio gli avrebbero dato l'anima del primo che avrebbe attraversato il ponte. I montanari si presero, però, gioco del demonio, facendo passare per primo un cane. Un'altra versione della stessa leggenda racconta che il Ponte del Diavolo fu costruito da S.Bartolomeo. Costui aveva pattuito con il demonio che, se entro la notte gli fosse riuscito di costruire il ponte, il diavolo avrebbe lasciato Bormio. Costui, alla vista del ponte costruito da S.Bartolomeo, quasi svenne e sconfitto dovette attraversare il ponte, lasciando Bormio. Al diavolo si attribuisce la nascita dell'empio Gervas, poi trasformatosi in Fra Giovanni di S.Martino. Il diavolo si trasforma come gli pare e non sempre ha le corna in testa ed i piedi di caprone, ma anche senza vederlo, lo si sente in quello che succede: sono mancati ragazzi, sono cresciute certe gobbe sul davanti ad alcune donne che non si sarebbe mai creduto e, ad una certa Agata, la polenta un giorno non voleva cuocere. Si seppe poi che la polenta era stata avvelenata dalle forze infernali. Nella Val di Fraele appariva la figura demoniaca dell'Angelo Nero o Ravan, un mostro dalle due facce, invulnerabile alle maledizioni umane e terribilmente crudele contro chi aveva accettato di servirlo e poi lo aveva disobbedito, come aveva fatto Talp. Il mostro era il capo di tutti i geni maligni ed aveva a servizio tutti i furfanti, mangiatori di anime, che andavano e venivano per il sentiero delle Scale e per la Val di Fraele. Gli abitanti della contrada Dossi Alti di Frontale sono i più litigiosi del mondo, perché in quel luogo S.Bartolomeo seppellì il diavolo bormino che era stata scacciato dall'inferno in quanto troppo litigioso. Il diavolo si manifesta spesso pure sotto forma di animali. Per esempio, sotto le spoglie di un verme apparso nel "cotaio" di compare Matteo, a Bormio, si nascondeva il diavolo. Al demonio viene attribuita anche la scomparsa del corpo di un morto valfurvese. Per scacciare il diavolo ed i suoi malefici bisogna ricorrere alla preghiera oppure alla benedizione di un prete. torna ad inizio pagina Streghe Tra i seguaci del demonio le streghe risultano essere le più fedeli ed invasate. La loro caratteristica è la doppia vita: di giorno spose e madri, di notte si trasformano in streghe. Bisogna sottolineare il fatto che non esiste una strega senza il sabba. Purtroppo la credenza negli stregoni e nelle streghe segnò pagine dolorose nella vita della Valtellina, che nel Seicento vide celebrare numerosi processi cruenti contro persone sospettate di essere streghe o stregoni. Per suscitare nell'opinione pubblica terribili sospetti d'avere rapporti con Belzebù bastava ben poco, molte volte era sufficiente essere parenti di una persona già indiziata o condannata, ma ancor più semplicemente bastava essere troppo bella o troppo brutta. A questo proposito, è utile ricordare che il termine strega deriva forse dal latino strix, strige, barbagianni: una donna, dunque, simile all'uccello notturno, almeno nel viso adunco e negli occhi grifagni, che aveva il demoniaco potere di svolazzare la notte e di emettere grida rauche e gorgoglianti. In realtà, le streghe potevano essere, invece, donne allucinate oppure isteriche o tutt'al più epilettiche. Appena si individuavano le persone sospette "per voce popolum", si catturavano e si ricercava sul loro corpo il bollo infernale che solitamente era una qualsiasi e semplice macchia sulla pelle. Si procedeva, quindi, a processare i malcapitati. I processi vedevano la tortura, inflitta il più delle volte in base al libero arbitrio dei giudici, come una prassi per estorcere sia la confessione dei reati commessi dall'accusato sia i nomi di eventuali correi. Chi confessava il falso, pur di sfuggire ai tormenti, era condannato inesorabilmente alla condanna a morte. Un ragazzo, invece, fu squartato, perché ritenuto in grado di trasformarsi in gatto miagolante. Le streghe anziane erano accusate di portare maleficio, da un luogo all'altro, volando a cavalcioni di una scopa o su veicoli più leggeri come spighe e fili di paglia e facendo strani cenni e ghirigori al prossimo sottostante su campi e prati. Le giovani erano accusate di andare a balli licenziosi a cavalcioni di diavoli vestiti da damerini e guidati da Belzebù in persona. Ballavano tutta la notte e, quando spuntava l'alba, le donne ricevevano dal torvo signore l'ordine di portare influssi perniciosi alle persone pie del luogo ed ai loro beni. Per esempio, Gervas della Valdisotto utilizzò per fare il malocchio i filtri schifosi di una stria in Val di Rezzo. Si credeva, altresì, che le streghe convenissero di notte in luoghi aspri e solitari e che di giorno, preso l'aspetto umano, compivano i loro diavoleschi malefizi, confezionando intrugli, filtri e veleni. Con questi ammaliavano le loro vittime, le gettavano in braccio al demonio o ne procuravano la morte con l'avvelenamento ed i morsi, oppure le condannavano a vedere colpite se stesse, i loro cari e le loro cose dalle più diverse ed orrende calamità. Si arriverà al parossismo di intentare causa agli insetti nocivi, in particolare ai bruchi che si supponeva si generassero dal connubio dei demoni con le streghe. Si citeranno gli insetti a comparire davanti ai giudici, verranno consigliati gli stessi a prendersi un difensore e si andrà ad appiccare citazioni ad ogni albero danneggiato! Tra i molti processi celebrati in Valtellina contro persone indiziate di stregoneria e di malefici sono da ricordare due in particolare per la ferocia con la quale vennero condotti. Vittime ne furono un certo Giovanni Bormetti di Semogo detto "Merendin" (1673) e Caterina Meld Rassigara (1674). Essi furono torturati sadicamente, furono estorte loro confessioni stregoniche e, infine, vennero condannati al rogo. L'esecuzione avvenne sulla strada per Premadio, oltre la Chiesa di S.Gallo, sulla sinistra dell'Adda, nel luogo ancora chiamato "Prà della Giustizia". Il fenomeno psicologico, che condusse alla credenza nelle streghe, non è difficile da concepire in quanto l'antipatia verso una persona poteva portare ad attribuirle la causa di tutto ciò che portava dolore, disgrazie, sofferenza e miseria. La ragione, pur non potendo spiegare questi eventi umanamente, voleva a tutti i costi trovarne una spiegazione ed un colpevole. La mente ingenua di genti semplici e chiuse, inoltre, poteva credere che fenomeni naturali quali valanghe, slavine e venti dipendessero dalla potenza di persone in grado di porre un essere soprannaturale alla mercé dei propri capricci. Per i teologi e gli inquisitori streghe e stregoni, in quanto invasati dal demonio, rinnegavano la fede. La credenza nell'esistenza di questi esseri intermedi tra l'uomo ed il demonio aveva, oltre a ciò, le sue radici nel residuo delle ataviche credenze mitologiche e si diffuse velocemente per suggestione naturale e senza nemmeno il freno del clero, divenendo un'allucinazione collettiva che infestò le classi sociali più diverse: nel popolo umile assunse la forma di una lugubre ed isterica fantasia, nelle classi colte prese le forme ambigue della magia e della scienza (magia nera, demonismo e astrologia). Numerose sono le leggende sorte intorno a streghe e stregoni e, grazie agli intensi contatti esistenti in Valtellina con le popolazioni latine e quelle germaniche, le streghe ed i diavoli della latinità si mescolarono agli gnomi ed agli dei nordici, dando così origine ad immagini favolose ed a tradizioni nuove. Alcune zone della Valtellina furono viste come luoghi di tregende e di raduni delle streghe e degli stregoni: i ruderi del castello e della chiesa di S.Pietro dominanti il borgo di Bormio, l'area della Reit, la zona tra Premadio e S.Colombano, la fessura delle streghe sotto S.Antonio di Pedenosso, Arnoga, la Motta d'Oga, la zona del Ponte del Diavolo a Valdisotto, le valli del Braulio e di Fraele, i monti sopra Cepina, Agneda, il monte Moncucco ed ancora, tra le altre località, le Steblina nella zona del monte Vago, la Val delle Mine, la Baita dell'Olta (a Livigno) e la Val Pola. Streghe e stregoni, per recarsi alle tregende (adunate, danze di streghe) volavano su di una scopa o erano aiutati da Belzebù, il quale apriva le danze. Le tregende finivano all'alba ed il diavolo impartiva a stregoni e streghe gli ordini per i malefizi. Le persone si ammalavano, gli animali erano colpiti da strane malattie o ancora si scoperchiavano le case. Nel 1715 nella terra di Bormio, visto che molti incendi scoppiavano nel giorno di martedì, si attribuì tale fatto ad una stregoneria. Le streghe potevano essere bellissime donne che tentavano licenziosamente come le maliarde che, durante la fienagione, scendevano dalle alti rupi per distrarre i falciatori o come la strega apparsa in Val Grosina al capraio Beppe che aveva dimenticato di recitare il rosario la prima domenica di agosto, giorno in cui si celebrava la festa della Madonna del Muschio protettrice dei pastori. Altrimenti esse erano fate-streghe. Quest'ultime portavano di solito all'infelicità il pastore che sposavano, in quanto le fate-streghe erano così delicate e sensibili che la minima scortesia faceva su di esse un'impressione profonda e poteva mutare il loro amore in indifferenza. Spesso le streghe erano donne brutte, vecchie e mentecatte che predicavano sventure. Il primo giorno dell'anno le streghe uscivano dalla valle e danzavano col piede forcuto nei prati circostanti, sciogliendo la neve. A Bormio una strega si rivelò tale solo dopo la morte, quando, sollevando il lenzuolo che la copriva, essa apparve nera come il carbone. Le streghe rapivano i bambini, a cui toccava una brutta sorte: per esempio la morte o il malocchio. Esse provocavano valanghe, temporali e tempeste oppure spingevano contro i paeselli di valle nere nubi cariche di grandine, servendosi di una lunga forca. Allora i montanari suonavano le campane benedette, allontanando così l'uragano e le colate di fango che avrebbero rovinato i campi. Tra Bormio e la Valcamonica, il paese Pezzo era minacciato dalle streghe ed il bosco era sacro, perché proteggeva il paese dalle valanghe che altrimenti sarebbero state causate dalle streghe. Un sabato sera, ad Isolaccia, un prete fu colto da un violento temporale, causato dalle streghe che danzavano sulle torri di Fraele. Le streghe cavalcavano anche magri caproni. Era un strega la donna che morì tra le braccia del montanaro Gervas della Valverde, lasciando all'uomo un libercolo contenente le formule magiche che lo aiutarono a diventare ricco. Streghe e stregoni, per attuare i loro misfatti, si trasformavano talvolta in gatti impertinenti o in altri animali. La volpe uccisa da Bepin de la Pipa a Livigno altri non era che uno stregone, così come il gatto apparso a degli uomini intenti a cuocere il pane in Valfurva era una strega. Pure la strega Valara morì carbonizzata sotto forma di gatto insolente. A Valfurva una strega fu creduta la causa della rottura di una zangola per il burro. Molte sono le leggende che raccontano di stregature ed incantesimi. A Bormio la Rosina fu stregata da una fattucchiera che le apparve nelle sembianze di un gatto. I livignaschi posero una croce in Val di Livigno per liberarsi da una stregatura: i loro piedi erano diventati più lunghi. Piantata la croce essi guarirono. Ghita di Bormio fu stregata da una moneta d'oro. A Bormio una mucca era stata stregata: si riuscì a liberarla, intrecciando alle sue corna una corona del rosario. In Valdidentro due mucche, passando in una località famosa per tregende, si fermarono perché stregate. Un bambino "innocent" fece un segno di croce sulle corna e le bestie ripresero il proprio cammino. La fede, comunque, vince qualsiasi malizia diabolica: croce, segno della croce e rosario tra i vari espedienti religiosi atti a combattere le forze maligne. Streghe e stregoni diventano, infatti, impotenti se si è pronti a scongiurare i loro malefizi invocando la divinità e, altresì, quando se ne avverte la presenza. torna ad inizio pagina Maledizioni Tra le leggende diaboliche rientrano anche quelle che raccontano di maledizioni. In Valtellina non sono molto numerose ed in Alta Valtellina probabilmente non ne esistono. torna ad inizio pagina Tesori nascosti Per un popolo vissuto da sempre in gravi ristrettezze la grande tentazione era quella del tesoro, sempre costituito con incanto. La credenza nei tesori nascosti chiamava a raccolta tutto il mondo demoniaco delle streghe e degli stregoni, dei maghi, dei konfinà e degli spiriti. Lo stesso demonio tentava direttamente i cristiani con tesori meravigliosi, come in Valdidentro. Qui in un profondo precipizio esisteva uno scrigno colmo d'oro, a cui faceva da guardia Belzebù sotto forma di caprone che si avventava contro chiunque osava avvicinarsi. A Bormio, invece, una volta il diavolo espose su di un lenzuolo un mucchio di foglie. Un uomo, passando, ne intascò una manata, ma poi sentendo in sé uno strano malessere, le buttò via. In fondo alla tasca rimase qualche foglia che si mutò in monete d'oro. A Bormio la leggenda dei tesori nascosti si intreccia con i ricordi di un patriziato ricco e potente. Difatti, nei sotterranei bui, che collegavano le casate più potenti, la tradizione vuole che le fiaccole si spegnessero in mano a coloro che volevano penetrarvi, mentre persone vecchissime narrano che sui lumi soffiavano gli spiriti invisibili, situati laggiù a custodia di tesori famosi. Nei sotterranei della casa Dea c'era una sala sfavillante, teatro la notte di balli licenziosi, e proprio qui esistevano dei tesori. Dai sotterranei della casa Alberti risaliva, invece, il fantasma della Dama Bianca, recando in mano pergamene su cui erano scritte le indicazioni per trovare il tesoro. Appena il fantasma udiva, però, un calpestio giù per la lunga scala di pietra, la torcia si spegnava e la dama scompariva. A Premadio un'anima del purgatorio apparve ad una servetta sotto forma di donna e le indicò il tesoro nascosto sotto la pigna. Quando il tesoro fu ritrovato e consegnato al proprietario, la donna non apparve più. Un'altra versione della stessa leggenda precisa che la donna apparsa era una strega-fata. Ancora a Bormio, nel 1862, ad una quindicenne apparivano delle anime defunte che indicavano alla giovane la presenza di tesori vicino alla chiesa di S. Sebastiano. Sempre nella stessa località alcuni frati, adirati col demonio, obbligarono costui a sprofondarsi nel terreno. Il diavolo, per vendicarsi, portò con sé tanti denari e così lì sotterrò. A Premadio un contadino, arando nel campo, con la lama toccò la maniglia di un baule. Ignorandone il contenuto, l'uomo si arrabbiò e proferì delle parolacce. Il baule prezioso sprofondò così in un'improvvisa voragine. A Livigno un tizio scovò una calza ripiena di marenghi che, però, si trasformarono in brace viva. A S.Antonio Morignone si narra che gli avi, costretti a fuggire di fronte alle razzie di torme di soldati, nascosero il tesoro della Chiesa di S.Brizio nella cavità della campana, successivamente sepolta in una fossa. L'unico indizio è costituito dalla seguente indicazione, apparentemente molto precisa: "Lassù alla cengia della betulla che porta il ramo secco, accanto al pozzo di lino si deve scavare". In Valfurva, invece, per molti anni la gente vide un forestiero asportare nascostamente minerale prezioso dalla Val Zebrù e si racconta anche di misteriosi viandanti che, svolazzando su per le pareti del Cristallo o del Gran Zebrù, frugavano tra gli anfratti alla ricerca di pietre preziose. Si narra, altresì, di maghet e konfinà che scavavano oro sul monte Reit, metallo che veniva portato in provincia di Brescia oppure disperso nell'acqua durante tremendi temporali o ancora gettato in voragini senza fondo. I maghet, inoltre, offrivano nel calice di un fiore un diamante purissimo, ma chi lo coglieva cadeva nei gorghi dei rivi. Si credeva pure che, sotto la cresta della Reit, fosse nascosto un cofano pieno di denari che mutava, però, la propria collocazione con il mutare del tempo. Un furbastro di Uzza raccontava, invece, che un carbonaio aveva visto scendere dalle montagne di Sclaneira un serpente. Questo teneva in bocca una pietra lucente. Quando il serpente la lasciò per cibarsi, il carbonaio coprì la pietra con il carbone. Più tardi l'uomo la ritrovò: era un finissimo diamante. Evanescenti ed irraggiungibili erano, invece, i tesori che Foronin, il gobbo di Cadangola, credeva di scoprire nella natura selvaggia che lo attorniava. La leggenda, il più delle volte, vuole che il tesoro sia inaccessibile o porti a delle sventure. Ciò dimostra che la febbre dell'oro non trovò terreno facile in Valtellina, in quanto quasi tutti cercavano le proprie fortune nel lavoro quotidiano. torna ad inizio pagina Diavoli • LA LEGGENDA DELL'INCENDIO DI CASA ALBERTI (Bormio) Nella casa Alberti, abitata dal Conte Lechi, si tenevano balli licenziosi e trastulli "edificanti" con l'intervento di Belzebù in persona, attillato come un damerino, ma con il piede da caprone. Il cielo (Dio) era allora intervenuto e, con un incendio, aveva fatto scappare le coppie danzanti e dannate. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEGLI ZOCCOLI DEL DIAVOLO (S.Antonio Morignone) In una pietra sulla strada tra S.Antonio e S.Bartolomeo sono impressi quattro zoccoli di un cavallo. Secondo la leggenda sono gli zoccoli infuocati del destriero del demonio che inseguiva il pio pastore Tirindré. Raggiuntolo, il diavolo cercò di afferrare l'uomo, ma sbagliò mira ed affondò gli artigli nella roccia. Il Signore dal cielo, dunque, protesse il pastore ed il suo gregge. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DI TIRINDRÉ E DEL DIAVOLO Una volta un poveraccio arrivò a S.Antonio Morignone. Nessuno l'aveva mai visto prima. Per il suo modo di fare e di parlare venne soprannominato Tirindré. Assunto dal pastore Martino, il vagabondo iniziò, sempre con la sua solita calma, a lavorare portando le pecore al pascolo e prendendo legna. Non lo turbavano gli scherzi né dei ragazzini né degli adulti. Un giorno lo stesso diavolo cercò di insidiarlo. Infatti, mentre Tirindré si trovava con il suo gregge in un tratto di strada fra S.Antonio e S.Bartolomeo, sentì risuonare alle proprie spalle il sordo rumore degli zoccoli di un cavallo lanciato al galoppo ed una voce beffarda che gridava il suo nome. Il pastore si voltò e vide che il diavolo stava sopraggiungendo verso di lui per travolgerlo. Tirindré, anziché farsi prendere dal panico, si spostò di lato e istintivamente gridò: "Van avanti ti, che mi stoo'ndree", poi si buttò sul ciglio della strada, appena in tempo per vedere il diavolo schiantarsi contro la roccia che costeggiava il sentiero, lasciando tracce indelebili della sua impresa. • VARIANTE B: LA LEGGENDA DELLA PIETRA DELLE DITA Era il pastore più buono di tutte le nostre contrade, il suo vero nome era Antonio e l'unico suo nemico il diavolo. Costui, invidioso della bontà dell'uomo, volle tentarlo, ponendogli davanti un tesoro mai visto. Al pastore sembrò di vedere una betulla, al di sotto della quale era distesa una grande coperta bianca. Dall'albero cadevano foglie che si tramutavano in monete sonanti, mentre una voce suadente lo tentava dicendogli: "Prendi. Ti farò ricco. Prendi tutto quello che desideri. Io sono il tuo signore!". Il diavolo aspettava solo che il pastore si abbassasse a raccogliere le monete per lanciare un enorme macigno contro di lui. Una mano invisibile, quella della Madonna, trattenne però l'uomo, tirandolo indietro di peso: da quel giorno il pastore e la contrada furono chiamati Tirindré. Il terreno improvvisamente si spalancò ed il diavolo con il suo tesoro sprofondò per sempre. Il macigno cadde sull'albero e si conficcò in quel punto. Sulla sua superficie sono ancora visibili impronte di artigli infuocati. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL BUCO DEL DIAVOLO (Valfurva) Nei pressi del Villaggio Ain-Karim, in località Sascin, esiste un buco. Le mamme dicevano ai bambini di non avvicinarsi troppo a questa cavità, in quanto all'interno c'era il diavolo. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO (località tra Sondalo e Bormio - il ponte venne distrutto dalla frana del Monte Coppetto nel 1987) Il ponte che cavalca l'Adda, tra Sondalo e Bormio, sembra sia stato costruito dal diavolo. Questo, prima di costruirlo, strinse un patto con i valligiani. Essi in cambio gli avrebbero dato l'anima del primo che avesse attraversato il ponte. I valligiani, più furbi del diavolo, fecero passare per primo un cane ed il demonio, malgrado il proverbio che dice: "Cane non mangia cane", dovette accontentarsi di quello. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO A BORMIO (Bormio) S.Bartolomeo giunse alle Prese per poi accingersi verso Serravalle e, dunque, entrare in Bormio a scacciare l'eresia. Il diavolo padroneggiava in città e non vi si poteva entrare né per il Passo Gavia, né per il Passo del Foscagno, asilo di lupi ed orsi, e nemmeno per quello dello Stelvio. L'unica soluzione era passare dalla Stretta di Serravalle, dove appunto sarebbe sorto il ponte. A custodire il suddetto passaggio, Belzebù aveva posto due statue colossali di dei falsi, il cui basamento recava la scritta: "Di qui non si passa", con la firma del demonio stesso. I montanari avevano fatto dei patti col diavolo, promettendogli alcune anime all'anno in modo che smettesse le sue angherie. I bormini, però, davano sì le anime al diavolo, ma quelle dei pazzi di Uzza, gabbando in questo modo lo stesso demonio. Un folletto avvisò il diavolo dell'arrivo di S.Bartolomeo. Belzebù si recò, quindi, a Serravalle e, al santo che lo invitava a lasciare Bormio, rispose che non poteva, perché sull'Adda non c'era alcun ponte e perciò non era in grado di attraversare il fiume. S.Bartolomeo scese, senza bagnarsi, in mezzo all'acqua e con un lungo virgulto toccò prima la statua di granito di destra e poi quella di sinistra: esse caddero, si impigliarono una nell'altra e formarono un ponte sull'Adda, dall'una all'altra riva. Il mattino successivo, il diavolo alla vista del ponte quasi svenne. Sconfitto dovette attraversare il ponte e lasciare Bormio. Così nacque il Ponte del Diavolo. • VARIANTE B: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO S.Martino ed il diavolo erano in perenne contesa per spartirsi il dominio sopra la nostra valle. S.Martino voleva relegare, a tutti i costi, il diavolo al di sotto della Serra, ma questi, mal sopportando una limitazione del proprio potere, sferrava contro il santo le sue terribili battaglie giornaliere. Il diavolo era furbo, ma il santo lo era ancor di più. Un giorno il santo promise al tentatore che, se fosse stato capace di costruire sull'Adda un ponte in muratura, gli avrebbe pacificamente ceduto il primo vivente che lo avesse attraversato. A lavori ultimati, il santo si affrettò a spedire sul ponte un caprone ed il diavolo dovette accontentarsi di quello. • VARIANTE C: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO Si narra che un diavolo si impossessò di un ponte. Questo diavolo incaricò un uomo di uccidere ogni persona che si serviva del ponte per oltrepassare il fiume. L'uomo, sempre nascosto dietro un cespuglio vicino al ponte ed armato di spada, assaltava le persone che coraggiosamente usufruivano del ponte per attraversare il corso dell'acqua. Il diavolo fu sconfitto da un uomo molto potente ed ora, in ricordo di questa leggenda, il ponte si chiama Ponte del Diavolo. • VARIANTE D: LA LEGGENDA DEL PONTE DEL DIAVOLO Nei pressi del Ponte del Diavolo, che collega le pareti scoscese della Stretta di Serravalle (luogo sicuramente adatto per il diavolo), Lucifero si mostrava, solo a mezzanotte, sotto forma di un feroce maiale. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI GERVAS E DI FRA GIOVANNI DI S.MARTINO (Valdisotto) In località detta "la fabrica", poco prima della frazione di Morignone, c'era un'osteria. In quella bettola si vedeva sovente la vecchia Zeola, a cui piaceva raccontare remote storie, come quella dell'empio Gervas che divenne il penitente Fratello Giovanni di S.Martino. Di Gervas ella diceva che nessuno aveva mai saputo da dove provenisse, ma solo che aveva venduto l'anima al Maligno in cambio di una spanna di vita con un po' di piacere animalesco. La gente del luogo non era mai riuscito a vederlo in viso, che era invaso dei sette vizi capitali elevati a virtù. Altri dicevano che Lucifero l'aveva fatto laggiù sotto il suo ponte (Ponte del Diavolo) per un improvviso mal di ventre in un venerdì di quaresima. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA SPARIZIONE DEL CAMPANILE DI SEMOGO (Semogo) Il campanile della chiesa di Semogo è sparito una notte del 1923. Il giorno prima c'era, il giorno dopo il sagrestano non lo rivide più: era stato Belzebù assieme ai folletti maligni a portarlo via. Al posto del campanile c'era una traccia di smottamento del terreno che andava giù al Viola e, in fondo, fu trovato il campanile, il quale era slittato per intero ed era lì appoggiato al pendio. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA SPARIZIONE DEL CAMPANILE DI SEMOGO Una notte d'inverno del 1923, Remigio se ne tornava a casa piuttosto allegro, dopo essere stato all'osteria per la solita briscola con Gervasio. Era notte fonda, faceva freddo e scendeva qualche fiocco di neve. La sua casa era poco lontana dalla chiesa di Semogo ed era ormai arrivato. Pensò di ripararsi, come già aveva fatto parecchie volte, nel vano della porta del campanile, in attesa che passasse la bufera. Ma quella sera il campanile sembrava svanito nel nulla e, mentre abbassò lo sguardo giù verso il fondovalle, dove scorre il torrente Viola, vide il campanile appoggiato al pendio ed attorniato da un nugolo di neri diavoli scatenati. Quello che successe dopo, restò per lui una cosa oscura e nella sua memoria rimase a lungo un vuoto. Fatto sta che all'alba il sagrestano Gervasio lo trovò mezzo congelato nella neve. Remigio, ripresosi, gli raccontò che erano stati i diavoli a far slittare il campanile giù nel torrente. Belzebù e gli altri spiriti maligni, visto che la gente di Semogo partecipava assiduamente alle funzioni religiose, si adoperavano in ogni modo a fare dispetti a più non posso alla popolazione, per sviarla da quel comportamento. Ma ogni sforzo fu inutile, anzi la gente spaventata dalle opere del diavolo aumentò ancor di più l'affluenza alle sacre funzioni. Il demonio indispettito aveva deciso persino di sbarrare la porta d'ingresso della chiesa con un macigno che si trovava in un prato poco distante. I suoi tentativi furono inutili, in quanto il macigno non si spostava di un millimetro. A testimonianza di ciò sono tuttora visibili le impronte dei suoi piedi sul terreno. Arrabbiatissimo per il fallimento della propria impresa, Belzebù decise di far cadere il campanile, colpevole di richiamare con i rintocchi della sua campana i fedeli alla messa. Chiamò perciò a raccolta molti spiriti del male, ai quali spiegò il suo piano. Scesa la notte, i maligni iniziarono a spingere con le corna piantate contro il campanile ed i piedi conficcati nel terreno. Già stavano urlando vittoria, quando sotto di loro si aprì un baratro che inghiottì Belzebù e molti dei suoi compari. Da allora, a quanto si dice, i diavoli scomparsero per sempre da Semogo. Intanto il campanile iniziò a slittare e, infine, si adagiò dolcemente in fondo alla valle del Viola senza riportare alcun danno. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI DIAVOLI E STREGHE (Bormio) Il diavolo si trasforma come gli pare e non sempre ha le corna in testa ed i piedi da caprone, ma anche senza vederlo, lo si sente in quello che succede. Sono mancati ragazzi, sono cresciute certe gobbe sul davanti a certe donne che non si sarebbe mai creduto e ad una donna, una certa Agata, la polenta un giorno non voleva cuocere e si è poi saputo che la polenta era stata avvelenata dalle forze infernali. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO O BASILISCO E DELLE STREGHE (Livigno) Lucifero veniva su dalla Valcava con le Diale che in Val Mera si univano alle streghe della Val Bruna e da lì iniziavano la gran sabba per terrorizzare il bestiame. Lì c'erano anche le voragini dove un tempo si scavava il minerale di Belzebù. Sulle vette si davano convegno le streghe della Val Mora, Bruna e Paolaccia per far tregenda in onore del Diavolo. Il basilisco dall'occhio di fuoco (favoloso rettile d'ere remote sinonimo di Diavolo - Satana - Belzebù) durante la notte va in cerca di anime. Le nonne raccomandavano alle nipoti la massima prudenza sui pascoli e nei boschi: 'sfuggi alla tentazione, il basilisco ti porta a perdizione'. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO SOTTO FORMA DI SERPE (Valfurva) Il diavolo appare sotto forma del serpente di Sclaneira durante il mese di agosto e vaga sull'alpe in cerca di anime per onorare la sua misteriosa dimora. Tra le sue vittime si può annoverare Gervas Tognin, che il demonio fece sprofondare dentro la Zocca della Stria Morta (Plaghera). Anche la bella Laura, figlia di Gervas Foricc, spaventata per l'incontro con lo spirito della Valverde, si sovvenne di tutte le creature malefiche della valle e, tra queste, del lunghissimo serpente che scendeva ogni tanto da Sclaneira con una lucente pietra nella bocca. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELL'ANGELO NERO O DEL MOSTRO RAVAN (Lago delle Scale - Val di Fraele) L'Angelo Nero ed il mostro Ravan altro non erano che aspetti di una sola diabolica creatura, la quale andava dagli abissi alle creste e dalle creste agli abissi, mutando l'aspetto e non la sostanza. Quando le fornaci del ferro sprizzavano scintille, l'Angelo Nero compariva tra il fumo e le maligne faville. Le sue labbra avevano sorrisi che parevano ringhi, la sua ombra batteva sulle pietraie seguita dal corteo degli spettri vaganti e, dove batteva, schizzavano livide fiamme per l'erta oscura. Allora i montanari, che vivevano in quei luoghi, da buoni cristiani benedicevano animali e minerali con l'acqua del Lago delle Scale e l'Angelo si copriva il volto, sbatteva le ali di folgore e si dissolveva nel fumo, risalendo su per le creste e ruinando polvere e ghiaia dai dirupi fino ai mughi sopra il lago. L'Angelo Nero lasciava dietro di sé una schiera di esseri invisibili pronti ad assalire i cristiani e a trascinarli nella vorticosa corrente del Vallar, dove l'Angelo Nero piombava dalle creste e si trasformava nel mostro di Ravan. Costui era il capo di tutti i geni maligni, nati dai suoi fittissimi peli, ispidi e duri come le setole. Ravan era spaventoso, aveva dieci teste e, dotato di una forza prodigiosa, faceva tremare e sconvolgere le montagne. Era invulnerabile alle maledizioni umane e terribilmente crudele contro chi aveva accettato di servirlo e poi lo aveva disobbedito come Talp (vedi La leggenda di Talp, servitore del mostro Ravan). Ravan o Angelo Nero odiava la luce del sole e rideva come un pazzo scatenato, quando vedeva l'astro calare e scomparire. Allora urlava nei profondi meandri del Vallar, seguito da una torma di giovani tritoni dalla lunga coda e dal dorso dentellato. Costoro avevano il compito di placare i gorghi dell'Adda per calmare la rabbia di Ravan. Le confraternite religiose del tempo, con camice bianco e cappa rossa di Molina e Premadio, sentenziavano che il mostro fosse nato da un uovo fecondato da un innaturale connubio tra un gigante ed un anfibio usciti fuori dai vapori della terra, quando si era formato il Lago della Scale. Altri, invece, dicevano che fosse nato da un uovo autofecondato da un vecchio gallo e covato in un monte di letame, in cui erano concentrati i veleni di tutti i serpenti del mondo. Tutti, però, concordavano che, fosse angelo o mostro, aveva al suo servizio tutti i furfanti che andavano e venivano per il sentiero delle Scale e per la Val di Fraele. Quei furfanti, ad ogni battito del cuore, gli procuravano un mortale per essere sua vittima sacrificale. I furfanti erano mangiatori di anime. Uscivano dalla nebbia e stavano nell'aria, nell'acqua e nel bosco, seminando paure ed angosce e, trascinando animali ed uomini su per le scogliere, li trasformavano in pietre a guardia delle grotte del tuono. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TALP, SERVITORE DEL MOSTRO RAVAN (Val di Fraele - Lago delle Scale) Un uomo di nome Talp venne dalla Val Bruna con un "gerlo" di minerali ferrosi da portare fin dove iniziava il Lago delle Scale. Lungo il tragitto, l'uomo perse una buona parte dei frantumi pietrosi scavati con tanta fatica. Giunto stanco e sfinito alla riva del lago, rovesciò i minerali rimasti nella barca: quelle pietre scheggiate di laminature di oro puro furono, però, sufficienti per comperarsi un asinello. Allora, Talp con l'asino prese il trasporto di carichi da soma da Pian del Vino fino alla riva del Lago delle Scale. Durante le faticosissime salite, Talp si attaccava alla coda del somaro ed ogni tanto dava delle botte sulla schiena della bestia, quando essa era restia lungo il difficile cammino. L'asino salì e scese quel calvario per una stagione, sfiaccandosi e piagandosi, senza biada e con poco fieno. Un giorno l'asino giunse sfinito sulla riva del lago. Aveva la bocca arsa e Talp liberò la bestia dal carico e, per farla bere, la spinse nell'acqua, bastonandola e bestemmiando. Le acque del lago rabbrividirono e, per la prima volta, si intorbidarono. Si sollevò all'improvviso un vortice d'acqua e l'animale scomparve. Talp, precipitatosi giù per il Vallar, fece in tempo a vedere il somaro uscir fuori dal Fontanon di Boscopiano. Ma la bestia rimpicciolita fuggì verso una baita dei Corni di Pedenollo. Il somaro, mostrando la dura mascella al suo padrone e ripetendo le parolacce imparate da lui, raggiunse la baita calda, odorosa di fieno e siero. Si nascose, dunque, ben bene e nessuno più riuscì a tirarlo fuori, perché fieno, siero e caldo proteggono gli animali. Talp umiliato chiese alla gente del posto lavori di pastorizia, ma nessuno lo volle a servizio. Riprese allora il suo gerlo, andando su e giù per le Scale di Fraele, finché un giorno sfinito, per fame e sete, cadde presso la riva del lago. Annaspò per toccar l'acqua, ma quella improvvisamente si abbassò. C'era all'intorno una mandria al pascolo ed alcune capre, che avevano le corna incise di piccole croci, si avvicinarono a Talp. Costui tentò di afferrare un capezzolo per succhiarlo, ma le capre saltellando e ridendo, gli diedero addosso e lo scornarono, lasciandolo esangue. Le spoglie di Talp vennero gettate in una vicina fornace, dove colava il ferro, affinché di Talp non rimanesse neanche la polvere. Alcuni dicevano che l'uomo avesse stretto un patto con l'Angelo Nero, mentre altri sostenevano che era stato allevato dal mostro di Ravan, al quale si era ribellato. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO BORMINO SEPOLTO VICINO A FRONTALE (Dossi Alti - Frontale) Dossi Alti, una frazione della contrada di Frontale, è il paese più litigioso del mondo. La colpa risale all'apostolo S.Bartolomeo che seppellì in quel luogo il diavolo bormino, scacciato dall'inferno appunto perché troppo litigioso. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI UN FATTO DIABOLICO Un giorno a compare Matteo si presentò un verme nel "cotaio". Egli volle affilare comunque la falce, ma c'erano tanti grilli nell'erba e tanti sassi, venuti su in un attimo, che tornò a casa più morto che vivo. La mattina dopo egli, che non era mai stato ammalato, aveva una "punta" ed il sangue che gli cavarono dal braccio divenne nerastro. Se la cavò per miracolo, facendo celebrare otto messe. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL DIAVOLO CHE PORTA VIA I CORPI (Valfurva) B. ... di S.Antonio Valfurva, che era stato in America, è confinato nella Val d'Uzza. Quando morì, nella cassa non si trovò più il corpo, perché era stato portato via dal diavolo. torna ad inizio pagina Streghe • LA LEGGENDA DELLA MAGA DEL CRAP (Val Grosina) Beppe era un capraio, a cui la madre morente aveva raccomandato di pregare e di non dimenticare di recitare la corona nella prima domenica di agosto, festa della Madonna del Muschio protettrice dei pastori. Beppe, però, era costretto a restare per lungo tempo sull'alpe, in una baita sul cui retro si innalzavano a perpendicolo dei crestoni rocciosi. Tra questi c'era uno sperone chiamato "el crap de la maga", perché un tempo fu il nido preferito d'una radiosa donzella, accogliente e prosperosa, ma anche temuta e maledetta da tante mamme in quanto, apparendo e sparendo in certi meriggi infuocati, conduceva a demenza o a dannazione più di un giovane pastore. I garzoni frequentatori dell'alpe si confidavano, in gran segreto, che bastava pensarla fortemente all'attimo dell'alba, quando il giaciglio era tiepido, e dir tre volte una parola strana, perché la maliarda la si vedesse folleggiare tra candidi e vermigli veli là sul Crap. Anche Beppe pensava spesso con desiderio alla maga-strega, ossia alla bellissima donzella che appariva sul roccione. La mattina del sabato precedente la prima domenica di agosto, Beppe disse fremente la parola strana. Subito gli apparve, bellissima ed invitante, la maga ed il pastore la seguì. Quando, però, era sul punto di afferrarla, vide sotto i veli due zampe sottili e pelose di capra e, terrorizzato, invocò l'aiuto della mamma morta. Un fragore assordante dalla vetta si ripercosse giù fino alle malghe ed un rovinio di macigni, dentro una nuvola nera, precipitò con il giovanotto fin presso la sua baita. Beppe si ritrovò, quindi, nella propria dimora, dove gli apparve la madre. Questa gli raccomandò di recitare il rosario la domenica, festa della Madonna del Muschio, e di diventare buono. Beppe obbedì, richiamò le proprie capre e poi si recò a messa, ove ritrovò la sua Giulia. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA RIVELATASI TALE SOLO DOPO MORTA (Bormio) Una donna, dopo morta, si rivelò strega. Quando fu sollevato il lenzuolo che la copriva, ella apparve nera come il carbone. Una giovane sposa che la vide fu tanto colpita da ammalarsene e non riebbe salute, finché fu benedetta dal curato. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI RADUNI DI STREGHE IN VARIE LOCALITÀ (Bormio) Le streghe si radunavano una volta in varie località, tra cui il Pian della Reit, l'Agneda, le Stabline di Valdidentro e Semogo, nei pressi dell'imbocco del paese dove c'era l'abitazione dei Marenda. Esse si portavano rapidamente da una località all'altra, volando per l'aria su manici di scopa. Le più giovani erano cavallerescamente portate da Belzebù in persona. Vestito da elegante damerino con bizzarro pennacchio in testa, egli apriva poi le danze. Allorché l'alba stava per spuntare, cessava il ballo e venivano dal torvo signore della notte dati gli ordini per i malefizi. Lo confessarono tra i tormenti e le lacrime i poveri indiziati in numerosissimi processi bormiesi del XVI e XVII secolo. Si facevano malefizi contro le bestie, i frutti della campagna e le creature del buon Dio. Languivano le fiorenti mandrie, piegavano le messi inaridite prima di giungere a maturazione, ammalavano le persone, soprattutto le spose ed i bimbi. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE E DI ROCCO (Livigno) Alle Stebline, in Val delle Mine o alla Baita dell'Olta si svolgevano sabbe di streghe o danze di fantasmi. Si diceva che anche Rocco, colui che per primo creò un collegamento invernale tra l'Alta Valtellina e Livigno, fosse legato a tale mondo: un uomo giurava d'averlo visto agitare, come amplissime ali i due lembi della sua mantellina stregata che faceva ombra sulla neve e sotto il sole, e donava refrigerio e incitamento magico alla mula stanca. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI GERVAS E DI FRA GIOVANNI DI S.MARTINO (Valdisotto) In località detta "la fabrica", poco prima della frazione di Morignone, c'era un'osteria. In quella bettola si vedeva sovente la vecchia Zeola, a cui piaceva raccontare remote storie, come quella dell'empio Gervas che divenne il penitente Fratello Giovanni di S.Martino. Di Gervas, probabilmente creatura legata al maligno, diceva che costui aveva ricorso ai sortilegi di una stria in Val di Rezzo, la quale gli procurava filtri schifosi per dare il malocchio. Questi consistevano in un miscuglio di saliva di cane, orina di pecora, pelo bruciato tolto a un caprone, sterco di corvi ed altre sostanze ancora più appetitose per far malia. Con queste misure Gervas metteva mano dappertutto diffondendo la sua scabbia puzzolente. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE E DEMONI IN VAL DI FRAELE (Val di Fraele) Le streghe ed i demoni vagavano sulle rupi del Doscopa, del Pettini, della Parete Alta di Paolaccia e di Plator dissetando le fauci, come vampiri, nel sangue dei morti, tra i brividi acuti del vento ed i fischi tonanti degli uragani. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI INCENDI (Bormio) Nel 1715 nella terra di Bormio scoppiavano molti incendi nel giorno di martedì. Si attribuì, perciò, tale fatto ad una stregoneria. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLE STREGHE DELLA POLA (S.Antonio Morignone) Le mamme invitavano i bambini a non avvicinarsi mai troppo all'Adda, poiché vi abitava la Mandragola con alte creste violacee ed una bocca spalancata, pronta a divorare chiunque in un solo boccone. Bisognava rincasare non appena rintoccava l'Avemaria della sera, perché per coloro che si attardavano a zonzo nel cuore della notte scendevano dalla Pola a stormo le streghe. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA GIUSTIZIA PUNITIVA (Gavia, confine tra Bormio e la Valcamonica) Dal "bosco sacro", nella valle del Frigidolfo camuno, tra Bormio e la Valcamonica, il paese Pezzo è minacciato dalle streghe ed il bosco è sacro, perché protegge l'abitato dalle valanghe che altrimenti sarebbero causate dalle streghe. Ma se la fede e gli esorcismi possono difenderlo dalle malefatte delle streghe, essi non lo sottraggono alla prepotenza della potente famiglia dominante in Ponte di Legno. La Giustizia Vendicativa, impersonata in una bianca fata o in un cavaliere armato, scende dalla "foresta sacra" e vaga a mezzanotte sopra le case di Pezzo. I fantasmi vendicatori avanzano sopra Ponte di Legno, minacciando e lanciando lampi dagli occhi e maledizioni tremende contro i prepotenti. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI DANZE DI STREGHE ALLE TORRI DI FRAELE (Isolaccia) Un sabato sera comare Angela, avendo visto una specie di nera catena che legava le torri di Fraele una con l'altra (era una catena formata da streghe che danzavano), tornò spaventata ad Isolaccia, dove raccontò al curato quello che aveva visto. Comare Angela consigliò al curato di recarsi in processione a piedi nudi verso le torri di Fraele, per purgare l'atmosfera dalle streghe ed evitare il temporale. Il prete, non credendo alle streghe, derise comare Angela e si diresse, invece, in processione verso Semogo, ma fu colto da un violento temporale. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLE STREGHE DEL MONCUCCO (Moncucco, presso il Tonale-Reit-Valtellina) Sul Moncucco, streghe e diavoli si riuniscono in tregende ed in convegni diabolici. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE, DI DIAVOLI E DI SORTILEGI (Bormio) Sulla Reit nella notte di S. Silvestro convenivano demoni, mentre sulle Scale di Fraele attorno alle due torri si radunavano streghe in tregende. Nel bormiese il bestiame andava a male, la grandine faceva scempio del raccolto, la mammella della nutrice versava germi fatali nei bambini: tutto ciò era effetto di sortilegi e di polveri infernali seminate nell'aria. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI STREGHE E DI MALEFICI (Bormio) Le streghe volano per l'aria e cavalcano una scopa. Se una di quelle scope, adoperate per quel servigio infernale, viene poi utilizzata da una creatura innocente, succedono dei fenomeni strani: la polvere ritorna sul pavimento della stanza, quando si crede di averla pulita bene; può capitare di trovare il mondezzaio nel cortile pulito e di trovarvi monete d'oro fabbricate da Belzebù che, se toccate da una creatura umana, mettono un diavolo per capello e nessun prete riesce ad esorcizzarle. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL PASCOLO RUBATO (Valverde, ossia Valfurva) La "stria" (strega) era morta tra le braccia del montanaro Gervas, sulla Valle dell'Alpe, proprio nell'attimo in cui in una casa del paese un grosso gatto nero finiva in un forno, perché disturbava l'impasto del pane di segale. Dalla stria, sprofondata nella "Zocca", Gervas aveva ricevuto in dono un libercolo giallo, sul quale c'erano scritte varie formule magiche. Gervas sapeva, però, che il libro andava usato con parsimonia, perché, giunto all'ultima pagina e letta quella, l'oscuro immenso potere sarebbe cessato e tutti i suoi possedimenti sarebbero andati in un rovinio spaventoso. Gervas si servì del libro e divenne il pastore più ricco della valle, invidiato da tutti. Se il pascolo aveva poca erba, bastava leggere una formula e voltare la pagina. Allora la sua malga fioriva, mentre sulle altre intristite le bestie dimagrivano. Poteva sciogliere la brina, cacciare le serpi oppure rendere fecondo per capre e pecore un canalone grigio. Se le zecche si moltiplicavano sulla pelle dei suoi agnelli e succhiavano troppo avidamente il sangue, bastava leggere una formula e voltare pagina, perché tutte le bestie divenissero pulite e sane. Ci fu poi una gara tra i torelli dei vari montanari per l'assegnazione di un pascolo: il torello vincitore avrebbe permesso al suo padrone di entrare in possesso del pascolo. Gervas, servendosi del libro magico, vinse la gara e per questo motivo il pascolo fu considerato pascolo rubato. La strega prima di morire gli aveva, però, raccomandato di guardarsi dalla serpe di "Sclaneira" (diavolo), consigliandolo di aver timore e riverenza se, per caso, gli fosse capitato di incontrarla nell'agosto infuocato a vagar sull'alpe in cerca di anime per onorare la sua misteriosa dimora. Un giorno di agosto apparve, per l'appunto, a Gervas il serpente di Sclaneira e l'uomo, dopo aver letto l'ultima pagina del libro, lo chiuse e si fece il segno della croce. La serpe piombò sul petto di Gervas, dove egli teneva il libro magico. Il pastore rotolò nella "Zocca della stria morta" e se ne perse la memoria. Gli elementi meteorologici si scatenarono e, quando tutto cessò, la montagna sembrò nuova con l'aria fresca, chiara e piena di colori. Solo la mandria di Gervas era distrutta e la Zocca della stria, dove il pastore era rotolato, si era fatta più fonda. Da quel tempo i pastori, la sera sull'alpe, si riuniscono e recitano il rosario. I vecchi dicono che è un'alpe rubata e chi la rubò deve venire, sempre e per l'eternità, a trascorrere la sua pena lassù nella baita diroccata, vicino al cendré, ripassando le pagine del suo libro di magie. E deve rimanere dall'equinozio d'autunno a quello di primavera: aveva goduto il pascolo durante la stagione buona, ebbene che lo godesse anche e per sempre nella stagione cattiva. Infatti, capitò ad un dubbioso di voler proprio vedere e vi trovò il serpente che, sulla pietra del focolare, si scaldava davanti e di dietro, afferrava le molle con la coda forcuta e ravvivava la brace, mentre brontolava con la voce di Gervas Tognin. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLO STRION DI LIVIGNO (Livigno) Un tale di Livigno, mentre falciava l'erba in un prato, vide una volpe e le tirò una falciata sulle zampe. La volpe si allontanò, zoppicando. Tornato a casa seppe che ad un tizio del paese avevano portato il "Signore", trovandosi in condizioni allarmanti per gravi ferite agli arti inferiori. Pensò, allora, che quell'uomo fosse stato ferito da lui nel prato. La volpe "l'era un striòn". • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA CERVA, DELLA VOLPE E DI BEPIN DE LA PIPA (Livigno) Il cacciatore Bepin de la Pipa, andato a caccia risalendo il ponte delle Capre su per la valle del torrente Torto verso Trepalle, vide una bella cerva legata ad un albero e la slegò, lasciandola libera invece di ucciderla. Recatosi poi alla fiera di Tirano e non avendo venduto il bestiame, egli venne avvicinato da una bellissima donna a lui sconosciuta. Costei diede a Bepin il denaro corrispondente al bestiame, lasciando al livignasco sia i soldi sia gli animali. Ella raccomandò al cacciatore, inoltre, di essere sempre buono con la Cerva del Bosco e di uccidere, invece, la Volpe fulva delle Mine. Il montanaro comprese che la trasformazione della fanciulla in cerva era stato un incantesimo, uno dei tanti compiuti da un tizio stregone in grado di mutare la natura delle più belle fanciulle e di rilegarle in luoghi deserti e paurosi. Passarono alcune stagioni ed un pomeriggio, mentre si trovava a falciare l'erba in un prato che aveva alla Tresenda presso lo Spöl all'imbocco della Valle delle Mine, Bepin de la Pipa vide la volpe. Egli la colpì con una terribile falciata, sicché la bestia, assai malconcia nelle zampe, fu costretta a fuggire e si infilò su per la valle verso li Steblina, dove le ossa di chi lassù muore devono essere lasciate. Infatti, se vengono tolte di là, subito vi tornano per forze misteriose, condannate alle pietraie spente fuor del tempo. La sera di quel giorno stesso, in paese fu portato d'urgenza il viatico ad un tizio stregone, ferito alle gambe così come era avvenuto alla volpe rabbiosa colpita da Bepin. Certo il tizio era "el striòn" che si era incarnato in quell'animale; altri non era che lo stregone che aveva fatto male a quella fanciulla, così pensò e commentò il montanaro nelle sere successive. Vero è anche, che con la morte di costui, nella vallata non si sentì più parlare di incantesimi. Infatti, non si è più sentito raccontare né di cerve legate né di volpi ringhiose in quel di Livigno. Neppure è più avvenuto che alle donne del luogo si involassero i panni e che le lenzuola stese fuori sui prati si vedessero poi, il giorno successivo, biancheggiare sulle cime dintorno. Solo nella Valle delle Mine si odono ogni tanto i gemiti degli spiriti delle solitudini, i quali si divertono a far rotolare sassi e macigni e che nelle notti solenni mandano lunghi ululati di angoscia. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA VALARA MORTA CARBONIZZATA (Valfurva) Un giorno a tre uomini che facevano il pane in una casa privata comparve un gattino molto insolente. Lo buttarono nel forno, ma per poco perché esso, con la sua terribile forza, riuscì ad abbattere lo sportello e a fuggire lontano. Poco dopo suonava l'agonia che annunciava la morte della strega Valara, morta carbonizzata. I tre uomini compresero che il gattino era la strega. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA STREGA SOTTO FORMA DI GATTO (Valfurva) Gervas Tognin aveva goduto dell'amicizia e dell'intima confidenza di un'autentica "stria" da viva assai nota nella valle. Si sapeva che gli era morta tra le braccia su alla malga, nei pressi della "Zocca della stria morta", contorcendosi ed imprecando proprio nell'attimo in cui, giù in una casa del paese, un grosso gatto nero finiva in un forno arroventato, perché disturbava l'impasto del pane di segale. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA CHE DISTRUSSE LA ZANGOLA PER IL BURRO (Valfurva) Un giorno a Plazzola, frazione di Madonna dei Monti, venne portata alla fontana una zangola, per poterla così preparare al successivo trasporto al maggengo. La zangola fu riempita d'acqua e lasciata lì durante il giorno. Alla sera, sull'imbrunire, il proprietario andò a ritirarla, ma appena sollevò la zangola, questa si sfasciò. Era stata quella donna creduta strega che, passando vicino alla zangola, l'aveva toccata e che successivamente, vedendo il proprietario, gli aveva detto: "Quest'anno di burro non ne farete più". torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL GATTO CHE STREGÒ LA ROSINA (Bormio) La Rosina di Buffalo, il bravo al servizio del duca Feria, fu stregata da una fattucchiera che le apparve nelle sembianze di un gatto. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGA SOTTO FORMA DI CANE (Valfurva) Una donna di Valfurva finì sul rogo, in quanto fu accusata di trasformarsi in nero cagnaccio con occhi di fuoco. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA CROCE DELL'ALPE VAGO (Livigno) Sull'alpe Vago c'è una croce, detta "Croce della Penitenza", che i livignaschi portarono là in pellegrinaggio nell'anno 1642 (periodo in cui nella zona la peste mieteva molte vittime) per chiedere perdono delle loro colpe e per potersi liberare da una forma diabolica, da una stregoneria: i loro piedi erano divenuti più lunghi. Le prime ad accorgersi del malefizio furono la Maddalena e la Lucrezia del Canton. Una mattina la Maddalena, quando al buio fece per infilare i piedi nelle grosse scarpe, per quanti sforzi facesse non vi riusciva, tanto erano divenute corte. Pensò a qualche spiritello maligno che gliele poteva aver cambiate, forse quello che, di solito, le si accucciava sul petto per provocarle l'incubo o quell'altro che si divertiva a legare di notte le code delle mucche a due a due. In realtà le si erano allungate le piante dei piedi di ben due dita e ancor più lunghi erano l'alluce e l'altro dito, che si incontravano torti come perfide tenaglie. Le donne pensarono, dunque, ad una stregoneria e passarono la notte successiva pregando. Il mattino dopo anche Lucrezia aveva i piedi stranamente sformati. Recatesi di corsa in chiesa scoprirono che il maleficio aveva colpito tutti i montanari della valle. Vi fu chi disse che era opera di streghe, chi che il maligno si era mostrato su a li Steblina, altri avevano veduto un gatto nero ed una lontra mandare strani versacci in riva al Rin della Tresenda, chi ancora aveva veduto una civetta con tre code venir su dal Ponte del Gallo. Si recarono, perciò, tutti in processione a piedi nudi sull'Alpe Vago ed una volta piantata la croce guarirono dal male. La fede vince qualsiasi malizia diabolica. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGATURA FATTA ALLA GHITA (Bormio) Ghita è ammalata ed ha paura della gente. E' stata stregata da una moneta d'oro raccolta in un mondezzaio, moneta che era stata toccata dalla scopa di una strega. Ghita era andata, infatti, in casa di nobili a Bormio come serva per sostituire una sua amica e, mentre scopava in un corridoio buio, toccò con la scopa una moneta d'oro, nella quale si era tramutata una potenza diabolica. Ghita, anziché bruciare la scopa e non toccare la moneta, incuriosita toccò la moneta e subito fu stregata. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA MUCCA STREGATA PRESSO LA CHIESA DI S. GALLO (Bormio) Una mucca, giunta una sera di venerdì vicino alla chiesa di S.Gallo, si arrestò improvvisamente dando segni di terrore. Subito si rifece tranquilla, quando le fu intrecciata alle corna una corona del rosario: la stregatura era cessata. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA STREGATURA DI DUE MUCCHE IN VALDIDENTRO (Valdidentro) Due mucche, passando su di un sentiero di montagna in una località già famosa per tregende, si arrestarono ad un tratto e non fu più possibile mandarle innanzi. Finalmente un bimbo, un "innocent", che seguiva il carro vide uno stregone fermo sul sentiero a braccia aperte. Bastò un segno di croce sulle corna, perché le bestie riprendessero docilmente il cammino. Streghe e stregoni divengono, infatti, impotenti se si avverte la loro presenza o si è pronti a scongiurare i malefizi invocando la divinità. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL FOLLETTO CHE SI TRASFORMÒ IN UN GOMITOLO DI LUCIDO FILO (Cepina) Una bella giovane divenne la vittima di un folletto che, per vendicarsi, si trasformò in un gomitolo di filo. La donna lo utilizzò per cucire l'abito da sposa, ma quando si trovò in chiesa il vestito si scucì e cadde a terra. Così la poveretta non fu mai condotta all'altare, perché considerata la sposa d'uno "striament" (stregone). torna ad inizio pagina Maledizioni ================================================================== Tesori nascosti • LA LEGGENDA DELLO SCRIGNO PIENO D'ORO (Valdidentro) In Valdidentro, in un profondo precipizio, esiste uno scrigno colmo d'oro. Nessuno può coglierlo, perché vi sta di guardia Belzebù sotto forma di caprone che si avventa contro chiunque osi avvicinarsi. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL BAULE NASCOSTO IN UN CAMPO (Premadio) Un contadino di Premadio, arando un campo, con la lama toccò la maniglia di un baule ma, ignorandone il contenuto, si adirò e proferì delle parolacce. Il baule prezioso sprofondò così in un'improvvisa voragine ed il contadino restò con la maniglia appesa alla lama. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TESORI NASCOSTI A BORMIO (Bormio) Il demonio mette in vista, una volta all'anno in una data località, i suoi tesori per accendere nell'uomo la triste e fatale brama dell'oro. Le foglie si tramutano in monete d'oro. Una volta il diavolo espose su di un lenzuolo un mucchio di foglie ed un uomo, passando, ne intascò una manata ma poi, sentendo in sé uno strano malessere, le buttò via. In fondo alla tasca rimase qualche foglia che si mutò in monete d'oro. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TESORI NASCOSTI DAL PATRIZIATO (Bormio) A Bormio, le leggende di tesori nascosti si intrecciano coi ricordi di un patriziato ricco e potente. Difatti, nei sotterranei bui che collegavano le casate più potenti, la tradizione vuole che si spengano le fiaccole in mano a coloro che vogliono penetrarvi, mentre persone vecchissime narrano che sui lumi soffiano degli spiriti invisibili, custodi laggiù di tesori famosi. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEI TESORI NASCOSTI NELLA CASA DEA (Bormio) Nei sotterranei della casa Dea, dov'era una sala sfavillante, teatro la notte di balli licenziosi, esistono dei tesori. Si narra di donne del popolo che furono condotte ad occhi bendati attraverso una rete di sentieri misteriosi. Una notte, nel fervore della danza, si spensero i lumi, tremarono le pareti e comparve fra lampi sanguigni il demonio. Da allora la sala fu murata e si narra di strani rumori che si odono nel silenzio della notte, di neri gattoni che passano rapidi sui tetri loggiati lampeggiando negli occhi e di una signora vestita di seta che appare di quando in quando. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA DAMA BIANCA (Bormio) La Dama Bianca usciva dal regno dell'ombra, tutta avvolta in bianchi veli, agitando misteriosamente delle antiche pergamene su cui erano scritte le indicazioni per ritrovare il tesoro nascosto. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA DAMA BIANCA A Bormio una dama bianca, agitando misteriose carte al lume di una torcia, cerca in un profondo sotterrano il "suo tesoro", ma appena ode un calpestio giù per la lunga scala di pietra, la torcia si spegne e la dama svanisce. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA CALZA RIPIENA DI MARENGHI (Livigno) A Livigno un tizio scovò, tra l'interstizio di travi di una antichissima casa, una calza ripiena di marenghi d'oro. Quando fece per contarli, si scottò terribilmente le dita: i marenghi si erano mutati in brace viva. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELL'ANIMA DEL PURGATORIO CHE INDICA ALLA SERVETTA DOV'ERA NASCOSTO IL TESORO (Premadio) Una donna comparve ad una servetta e, senza parlare, batté con la mano tre colpi nella cupola della stufa (pigna). Fatta abbattere la stufa, fu trovato molto denaro nascosto nella cupola. La donna apparsa alla servetta era un'anima del purgatorio, la quale non poteva andare in paradiso fino a quando non fosse stato scoperto il denaro nascosto. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLA GIUNONICA SIGNORA METÀ STREGA E METÀ FATA, APPARSA AD UNA SERVETTA Una strega-fata (di quelle disposte a fare del bene e amate dal popolo) apparve ad una servetta di Premadio. La bella signora batté tre volte le nocche delle dita sulla pigna e poi scomparve. Abbattuta la pigna vi fu trovato sotto un tesoro. La buona fatina, anima in pena per un tesoro mal acquistato e trafugato in vita, aveva dato chiare spiegazioni alla servetta, affinché il tesoro fosse consegnato al legittimo proprietario. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL TESORO DI S. SEBASTIANO (Bormio) Nel 1862 ad una giovane quindicenne di Bormio comparivano anime defunte ed ombre misteriose, le quali insegnavano alla ragazza che, se si fosse scavato vicino alla chiesa di S. Sebastiano, si sarebbe trovato un ingentissimo tesoro ed un'altra chiesa da tempo immemorabile sepolta. A tali profezie credettero anche quattro preti del paese. Cominciarono così gli scavi per ritrovare il tesoro. Si scoprì, però, che gli spiriti erano due buontemponi del paese, i quali imposero per bocca della fanciulla visionaria i lavori di scavo e successivamente i pellegrinaggi. Alla fine Don Silvestri, uno dei preti che faceva parte della società costituitasi per gli scavi, fu sospeso "a divinis" e così la società si sciolse. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI TESORI NASCOSTI NELLE MURAGLIE, SOTTO LE SCALE, NELLE CANTINE O IN LUOGHI SOLITARI (Bormio) Anticamente certi frati, proprietari di una chiesa ora distrutta ed in cui si cerca il tesoro, adiratisi con il diavolo lo obbligarono a sprofondare in quel terreno. Il demonio, per vendicarsi, portò con sé tanti denari e li sotterrò insieme a lui. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA CAMPANA SEPOLTA (Valdisotto) In tempi in cui attraverso la contrada scorrazzavano torme di soldati che razziavano qualsiasi cosa vedessero attorno a loro, gli abitanti della zona, incalzati dall'ansia di fuggire, nascosero ciò che poterono. Anche la chiesa di S. Brizio, posta quasi al limite della valle, possedeva un suo piccolo tesoro. Qualcuno, nutrendo in cuore la speranza di salvarlo, cercò un nascondiglio sicuro. Il tesoro di ori e lini venne, dunque, deposto nella cavità della campana, successivamente calata nel fosso. La terra al di sopra venne eguagliata, perché non rimanesse ondulazione o catasta di sassi a tradirne la presenza. La campana venne sepolta da coloro che fuggirono per ultimi, unici testimoni di questo nascondiglio. Costoro lasciarono, però, come indizio per il ritrovamento del tesoro, un'indicazione apparentemente precisa: "Lassù alla cengia della betulla che porta il ramo secco, accanto al pozzo di lino". torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL TESORO DELLA REIT (Valfurva) Sotto la cresta della Reit è nascosto un cofano pieno di denari, traslucenti sull'alba e sul tramonto. Il cofano muta sempre il sito col mutar del tempo. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA (Valfurva) I maghet scavavano l'oro dai fianchi dei monti della Val d'Uzza per poi trasportarlo in fretta e furia nel bresciano. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA I maghet cavavano nascostamente l'oro della Val d'Uzza e coglievano il momento in cui il temporale impazziva per scendere veloci e fuggire in Valcamonica con i tesori arraffati. • VARIANTE B: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA I maghet erano al servizio di un orco, la cui caverna era situata in Valcamonica. Essi facevano ogni giorno la spola tra la caverna e la Reit per ordine del loro capo. Compito dei maghet era quello di cavare l'oro e di portarlo all'orco, bramoso d'oro. I maghet perirono durante un violento temporale, mentre la caverna dell'orco, rivestita e stracolma d'oro, divenne inaccessibile a causa di una frana. • VARIANTE C: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA VALFURVA Sulle sponde dei rivi, quando il sole è alto e caldo, compaiono i maghet, offrendo nel calice di un fiore, un diamante purissimo. Chi lo coglie, cade però nei gorghi. Per liberarsi dalla tentazione bisogna invocare il proprio Angelo Custode e non imprecare o nominare il maligno, altrimenti costui appare in sette salti davanti al malcapitato. • VARIANTE D: LA LEGGENDA DEI MAGHET E DEI KONFINÀ DELLA REIT I konfinà della Reit cavano l'oro che tanto hanno amato in vita per una giusta legge del contrappasso. Quell'oro, però, non può più destare la febbre in alcuno. Infatti, i maghet scatenano temporali e bufere e con le frane travolgono anche l'oro della Reit nel torrente Frodolfo, che lo trascina lontano. I maghet, con i loro dispetti, salvano i confinati d'Uzza dalla febbre dell'oro. • VARIANTE E: LA LEGGENDA DI KONFINÀ A BORMIO Nel Vallon di Uzza, nel Vallon del Braulio e nei boschi di Pezzel, i confinati raccolgono grandi secchi d'oro, stillante goccia a goccia dalle rocce, e quando il secchio è colmo, faticosamente lo portano in alto e lo vuotano in voragini senza fondo. • VARIANTE F: LA LEGGENDA DI KONFINÀ IN VAL D'UZZA In Val d'Uzza erano confinati B. ... di S.Antonio Valfurva e R. ... della Madonna dei Monti. Venivano confinati dai religiosi e dai preti sulla Reit a cavar l'oro "parké i fecìòn tanta balosada" (perché fecero tante bricconate), come afferma il capraio Marco Granaroli, novantenne che raccontò il fatto. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DI MISTERIOSI VIANDANTI (Valfurva) Si racconta di misteriosi viandanti che, svolazzando su per le pareti del Cristallo o del Gran Zebrù, frugano tra gli anfratti e raccolgono pietre preziose. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DI MISTERIOSI VIANDANTI Un forestiero, con incantesimo, saliva e scendeva meravigliosamente agile la valle Zebrù per cogliere nascostamente dentro secchielli l'oro che colava, come gocce di miele, da un anfratto sotto la Vedretta delle Miniere. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL CARBONAIO DI UZZA CHE AVEVA VISTO SCENDERE DALLA MONTAGNA UN SERPENTE (Valfurva) Il carbonaio d'Uzza aveva visto scendere dalla montagna di Sclaneira un serpente che teneva in bocca una pietra lucente. La bestia la depose, si cibò d'erba e tornò in su. Il carbonaio aspettò di nuovo il serpente e, quando questi depose la pietra per mangiare, l'uomo la ricoprì di carbone. Ritornato successivamente a guardare la pietra, il carbonaio scoprì che era un diamante. Il serpente era un'anima in pena, quella di un avaraccio che non mollava con facilità il denaro. • VARIANTE A: LA LEGGENDA DELLO SPIRITO DELLA VALVERDE - SERPENTE DI SCLANEIRA Laura si sovvenne di quel lunghissimo serpente che scende ogni tanto da Sclaneira con una lucente pietra nella bocca. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DELLA NOBILE TIROLESE FUGGITA DAL CONVENTO DI MÜNSTER PER AMORE, RAPITA DAL PROPRIETARIO DELLE MINIERE DI FRAELE E DI PREMADIO (Valdidentro) Una nobile e bella tirolese, ospite del convento di Münster, venne rapita da un signore valtellinese invaghitosi di lei. Ne nacque tra Bormio e Innsbruck una guerra diplomatica per i reclami del padre oltraggiato e della luogotenenza di Innsbruck a Bormio. Venne ordinato al rapitore di restituire l'amata, ma il Signore delle Miniere di Fraele e Premadio preferì rinunciare alle ricchezze e fuggì da Bormio con l'amata. Miniere e forni vennero resi inutilizzabili ed il metallo prezioso venne nascosto. Silenzio e rovine rimasero in quelle valli e la tradizione di un nuovo tesoro nascosto si aggiunse alla leggenda amorosa. torna ad inizio pagina • LA LEGGENDA DEL GOBBO DI CADANGOLA (Valdidentro-Livigno) Cadangola è una valle misteriosa con sentieri faticosi che conducono alle Bocche di Trela, di Trelina, all'Alpe di Trela, alla Val dei Pettini e alle polle dell'Adda per passaggi fra ghiaioni morenici dove la vita è assente. Lassù c'era un tempo la più ricca villeggiatura estiva delle capre, delle pecore e dei vitelli. Era il regno della pastorizia arcaica che durò fino alle stagioni ormai lontane in cui vi andava a far burro e formaggio Foronin, il gobbo di Cadangola. Foronin, ometto insolito creato proprio per quel mondo singolare, conosceva i segreti della sua montagna, dei suoi pascoli e dei suoi boschi. Una volta si era ricoverato sotto alcune rocce sporgenti a mo' di tetto, perché sorpreso da un temporale. Quando uscì da lì si accorse che gli brillavano gocce d'oro tra i capelli. Tornò sui suoi passi e scoprì una fessura per la quale trasudava acqua con pagliuzze lucenti, ma bisognava perdere troppo tempo per raccoglierne tanto quanto un ago d'abete. Foronin conosceva le buche disseminate sul crinale della Motta Grande e spiegava come brillassero candidissime sotto la luna, essendo il fondo di esse cosparso d'argento, ma non si era mai lasciato vincere dalla tentazione, perché temeva le burle della luna balorda. L'uomo sorrideva, raccontando quando aveva veduto le profondità delle Presure, e riteneva che il fondo delle voragini fosse tempestato di zaffiri e rubini, perché sfavillava come la luce dell'arcobaleno. Egli, però, non si era mai tentato di scendere, essendo ciò possibile solo nel plenilunio di marzo. Ma chi mai si sarebbe avventurato ad un'impresa simile in quella notte sacra?